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“Penso che non si fermeranno fino a quando non avranno completamente preso il Mar d’Azov e soffocato l’importantissimo porto marittimo dell’Ucraina di Mariupol” dice al sito specialistico Military Times il generale in congedo Ben Hodges, che ha comandato la componente dell’esercito americano assegnata allo US Europe Command dal 2014 al 2017.

Per il generale, quello che sta accadendo nello spicchio di mare a nordest del Mar Nero, chiuso dallo stretto di Kerč, potrebbe essere seguito da un’operazione di terra diretta verso Mariupol, porto ucraino molto importante per l’esportazione dell’acciaio. La dichiarazione arriva in un momento delicatissimo, innescato da mesi di screzi a cavallo di quel bacino ristretto su cui Kiev denuncia la volontà egemone di Mosca – “Vogliono trasformarlo in un loro lago“, ci aveva spiegato l’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin.

Una situazione che ha raggiunto i massimi, finora, il 25 novembre, quando tre imbarcazioni militari ucraine sono finite sotto attacco da parte delle unità russe, che le hanno poi sequestrate arrestandone i componenti (tutt’ora detenuti in Crimea, nonostante gli appelli della Comunità internazionale per rilascio e distensioni). Un episodio di guerra aperta, a insegne alzate, diverso dagli attacchi ibridi visti finora, dove la Russia usava lo scudo politico offerto dai ribelli separatisti del Donbass – regione che ha sbocco marittimo nel Mar d’Azov – per le proprie azioni contro le forze regolari ucraine.

Per Hodges, il valore geopolitico di quel bacino è multiplo. Darebbe continuità territoriale tra la Russia continentale e la penisola annessa illegalmente della Crimea ucraina; permetterebbe di soffocare una linea commerciale importante per Kiev (le rotte in uscita da Mariupol sono già spesso interrotte chiudendo il passaggio su Kerč, dove Mosca ha costruito un ponte di collegamento con la Crimea considerato illegittimo dall’Ue); e inoltre prendere il Mar d’Azov “è il prossimo passo nel loro sforzo di dominare la regione del Mar Nero in modo che possano usarlo come trampolino di lancio in Siria, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente”.

Il generale analizza le criticità della situazione partendo dal lato che conosce meglio: da comandante dello US Army Europe ha partecipato attivamente alle operazioni di riarmo con cui la Nato, gli Stati Uniti e i paesi europei del fronte orientale hanno consolidato le linee di difesa dopo l’annessione crimeana del 2014. Un rafforzamento che però, secondo Hodges, ha interessato molto paesi come Romania e Polonia, o come i Baltici, e troppo poco il fronte sul Mar Nero.

Il comandante americano spiega che la base aerea Mihail Kogalniceanu, nota come MK, nel sud-est della Romania – per anni scalo dei soldati americani diretti in Afghanistan – potrebbe essere il nodo chiave per un rafforzamento in quel bacino strategico, visto che si trova vicino a Costanza, porto romeno tra i principali del Mar Nero. “Abbiamo deciso che MK dovrebbe essere un hub, una piattaforma di proiezione di potenza nel Mar Nero per le forze aeree e terrestri [Usa/Nato]”, ha detto Hodges – MK non è una base permanente, è di proprietà romena, ma è pronta a ospitare di stanza diverse unità statunitensi (inoltre, la Romania, membro Nato tra i pochi a centrare l’obiettivo del 2 per cento del Pil, ospita anche un sistema di difesa contro i missili balistici di tipo Aegis Ashore).

Il comandante ha anche spiegato il ruolo chiave della Turchia, che per la Convezione di Montreux del 1936 controlla lo Stretto del Bosforo e dei Dardanelli, passaggi che aprono il Mar Nero verso il Mediterraneo. La convenzione permette la presenza stanziale di navi militari nel bacino solo ai paesi litorali, mentre agli esterni dà possibilità di manovre per massimo 21 giorni, limitando la stazza delle imbarcazioni (sostanzialmente per impedire la presenza di portaerei).

Una potenza talassocratica come gli Stati Uniti ha interesse fondamentale in certi passaggi e sente il peso dello svantaggio tattico-strategico rispetto alla Russia, che ha la Flotta del Mar Nero in Crimea e ha lo sbocco dal Donbass (dove militari russi senza insegne sono presenti tra le truppe separatiste). Hodges dice: “La Romania è la chiave. La Turchia è così concentrata sul suo confine sud (quello con la Siria, ndr) che non ha sviluppato una grande presenza nel Mar Nero. Finirà per essere la Romania il centro di gravità per l’Occidente nel contrastare l’aggressione russa”.

È una necessità che la Nato mantenga la propria presenza, forte, nel quadro dei confini di Montreux, e contemporaneamente – spiega il generale americano – l’alleanza dovrebbe aiutare l’Ucraina (che non è membro) a “sviluppare la propria strategia marittima”. Un genere di assistenza che non più tardi del 13 dicembre il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha garantito al presidente ucraino Petro Poroshenko.

Secondo Hodges, la Russia cercherà di rafforzarsi nel cyberwarfare perché è un territorio in cui ancora può giocarsi la partita, mentre sugli altri scenari “l’Occidente” non ha rivali. Ma contemporaneamente Mosca cercherà di spostare i propri confini, magari “creando crepe nella falange” Nato: là potrebbe trovare una risposta occidentale sostanzialmente morbida, perché nessuno sarebbe disposto a una guerra nucleare per attacchi relativamente piccoli in Lituania, in Estonia o in Romania, così come è successo in Georgia o con la Crimea.

Poi il comandante ha dato una spiegazione di carattere strategico di livello superiore. Hodges dice di non temere la Russia nel lungo termine, ma di aver paura che prima o poi gli Stati Uniti finiscano per trovarsi impegnati in qualche genere di conflitto con la Cina (situazioni ibride, per esempio, potrebbero innescarsi nel Mar Cinese, o lungo lo stretto di Taiwan). Questo, secondo il generale, a quel punto indebolirebbe le forze americane e occidentali di difesa contro la Russia, perché “non abbiamo più la capacità di combattere due e mezze guerre”.

“Ecco perché c’è l’urgenza di costruire il pilastro europeo dell’egemonia degli Stati Uniti e di convincere i nostri alleati a fare di più”, ha affermato Hodges: “La spesa per la difesa del 2 per cento non è uno strumento politico, è una necessità seria” con cui costruire un blocco coeso davanti al quale la Russia, fossero anche distratti gli Stati Uniti da uno scontro con la Cina, sarebbe scoraggiata in Europa.

Il generale chiude con una specie di rimprovero alla Casa Bianca – che vive una fase di non troppo feeling con i militari. Ogni volta che il presidente attacca la Nato “si dà dei calci sugli stinchi”, perché “la Nato rimane l’alleanza migliore e più riuscita nella storia del mondo”, ma questo non significa “che il presidente non debba battere i nostri alleati per fare di più, però il presidente deve essere più chiaro, più efficace nel garantire a tutti che non importa, ché gli Stati Uniti saranno lì per l’alleanza”.

(Foto: Nato.int)

La Russia non si fermerà (sul Mar Nero). Un hub europeo per dissuaderla?

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