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La mozione che contiene la possibilità di emettere, da parte dello Stato, i cosiddetti minibot è passata all’unanimità a Montecitorio. Un evento inquietante; che dà la misura della confusione mentale e dell’insipienza politica dell’intero arco parlamentare italiano.

La proposta ha una storia antica. Per rimanere ai dibattiti più recenti, nel 2015 veniva pubblicato un eBook edito da MicroMega Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro a cura di Biagio Bossone (già Presidente della Banca Centrale di San Marino e Ragioniere Generale della Regione Sicilia), Marco Cattaneo (gestore di fondi d’investimento), Enrico Grazzini (consulente d’azienda ed editorialista) e Stefano Sylos Labini (geologo ed editorialista), con la prefazione di Luciano Gallino (sociologo e docente universitario). L’idea era che lo Stato avrebbe dovuto emettere certificati di credito fiscale con cui pagare imprese e lavoratori; che però non avrebbero potuto rimetterli sul mercato prima di due anni, in modo tale che i titoli non arrivassero a scadenza ma entrassero nella circolazione (ovviamente, non avendo corso legale, al prezzo di mercato, che dipende dalla credibilità complessiva di chi emette i titoli, cioè lo Stato Italiano), in modo da provare a far ripartire un sistema economico asfittico. La proposta veniva ripresa con entusiasmo nel marzo 2017 dal Blog di Beppe Grillo, che registrava in pochi giorni oltre 100.000 likes. Anche Varoufakis nello stesso anno sostenne una proposta analoga, sotto forma di erogazione universale e con scadenza ad un anno, presumibilmente per diminuire i rischi sulla credibilità del titolo.

Il problema cruciale è proprio questo: la moneta fiscale non è una moneta a corso legale. È un titolo di credito che circola sul mercato, il cui prezzo dipende appunto dalla credibilità di chi lo emette. Se venisse giudicato dai mercati come il gesto disperato di un creditore in difficoltà (come in effetti è lo Stato Italiano) c’è da scommettere che circolerebbe ‘a sconto’: ossia, chi lo compra sarebbe disposto a farlo solo con una riduzione del suo valore nominale, data l’aspettativa (il rischio) d’insolvenza. In pratica: vuoi che ti acquisti i minibot per un valore nominale di 1.000€ con euro veri, a corso legale? Bene, ma sono disposto a pagarteli solo, diciamo, 800€…

Per ribadire il concetto: se il governo dovesse imporre (ma per questo ci vorrebbe una legge vera e propria) l’erogazione dei minibot al posto dei salari, dei crediti d’imposta per le imprese o come conversione obbligatoria dei saldi liquidi sui conti correnti… ebbene, ci troveremmo tutti più poveri, in proporzione al reddito o al patrimonio che abbiamo. Insomma, una ‘patrimoniale’ mascherata, di cui il cittadino-elettore farebbe probabilmente fatica a comprendere la reale natura. Anzi, magari sposterebbe ulteriormente il consenso politico verso chi, pur di fatto impoverendolo, gestisce la comunicazione privata, social ed istituzionale con una retorica sul successo che questa manovra potrebbe avere per rilanciare la spesa. L’imposizione dei minibot come moneta legale costituirebbe inoltre una violazione dei trattati sul ruolo della Bce come unico organismo di emissione di moneta legale.

Chi, come sembra abbia dichiarato a caldo l’onorevole Quartapelle (PD) ed una consistente parte politica di opposizione, ha approvato la misura perché conteneva (anche) lo sblocco dei debiti della PA non si rende conto forse della portata devastante ed auto-realizzantesi di questa idea (ma almeno Padoan ci avrebbe dovuto pensare), che ci farebbe sforare i parametri europei (spingendoci di fatto fuori dall’euro) ed impoverirebbe il paese (unicamente a vantaggio del consenso nei confronti del governo). Si tratta naturalmente di una misura alla quale non è detto che il governo ricorrerebbe (come ha suggerito con una sconcertante dose di ingenuità il Minsitero del Tesoro); ma una volta resa possibile, chi potrebbe più negarne l’adozione (e la legittimità)?

L’Italia è sempre più un paese a rischio. Che ha urgenza di una politica espansiva (pubblica) in settori strategici ed innovativi, come quelli del Piano Juncker (ma è solo un esempio), in un’ottica (europea) di ri-posizionamento dell’industria (europea) sui mercati mondiali, finanziata a livello nazionale tramite la riduzione della spesa improduttiva e a livello europeo con risorse proprie ed eventuali emissioni di titoli di debito europei, gestiti istituzionalmente a livello europeo. Che ha bisogno di rilanciare gl’investimenti privati agendo sull’unica cosa che influisce su di essi, ossia la creazione di aspettative positive sul futuro, aumentando la credibilità del sistema-paese nel quadro di un rinnovato impegno sul progetto di condivisione della sovranità in Europa in settori strategici dove la competizione è globale. Che necessita di rilanciare i consumi tramite una politica dei redditi agganciata alla produttività; ma in cui la produttività non dipende dalla riduzione della forza lavoro (come ci ha fatto credere fino ad oggi il mito dell’austerità espansiva, imposto purtroppo negli ultimi anni a livello europeo) bensì viene spinta sulla frontiera tecnologica da infrastrutture (su scala europea) di comunicazione e trasporto all’avanguardia, da una riforma della PA nel senso dell’efficacia dei risultati, dalla transizione ecologica (che assicura anche posti di lavoro in settori produttivi ad alta intensità di lavoro, non solo di capitale e tecnologia) e dalle energie rinnovabili, etc.

C’è bisogno insomma di rifondare il tessuto politico, sociale ed economico del paese e, parallelamente, di riprendere il cammino della riforma delle istituzioni, dei meccanismi decisionali e delle regole di funzionamento della governance economica (ma non solo) europea; stando al tavolo dei negoziati con credibilità e serietà, non con il potenziale ricatto di un’uscita dall’euro (che certo non sarebbe gradita alla Germania ed agli altri partner, ma penalizzerebbe prima di tutto noi cittadini italiani).

E mentre il paese ha urgenza di misure serie e l’ennesimo giallo circonda il contenuto della risposta italiana alla lettera di Bruxelles sui nostri conti pubblici, la Camera – i nostri rappresentanti politici! – all’unanimità ipotizza l’uso dei minibot, rischiando di rendere l’uscita dall’euro un’evenienza sempre più realistica, quasi inevitabile.

Possibile che non ci si renda conto che stiamo scherzando col fuoco?

Scherzando col fuoco

La mozione che contiene la possibilità di emettere, da parte dello Stato, i cosiddetti minibot è passata all’unanimità a Montecitorio. Un evento inquietante; che dà la misura della confusione mentale e dell’insipienza politica dell’intero arco parlamentare italiano. La proposta ha una storia antica. Per rimanere ai dibattiti più recenti, nel 2015 veniva pubblicato un eBook edito da MicroMega “Per una…

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