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Tre dossier spinosi attendono il governo dopo il voto del 26 maggio: le nozze Salini Impregilo-Astaldi, il caso Telecom-OpenFiber e l’eterno salvataggio Alitalia. Non si tratta certo dei soli casi di crisi aziendali in un Paese che si confronta con la scarsità di capitali privati e di investimenti pubblici, un debito alle stelle, una crescita stagnante e un sistema bancario ancora debole. Ma queste tre storie saranno certamente un banco di prova per l’esecutivo che dovrà fare i conti con il risultato elettorale. In questo scenario, la maggioranza di governo dovrà prendere decisioni rilevanti che avranno un effetto anche sulla Cassa Depositi e Prestiti, braccio finanziario dello Stato e cassaforte dei risparmi postali degli italiani. Non a caso, in questi giorni, sono circolate indiscrezioni su una possibile uscita di scena del presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Massimo Tononi, pronto a fare un passo indietro per via delle continue pressioni politiche sui dossier caldi. Se Tononi lasciasse l’incarico, sarebbe certo un segnale di forte rottura fra il governo e le fondazioni bancarie, socie di minoranza di Cdp. Uno scenario da non augurarsi.

Il governo ha infatti bisogno della Cassa e delle Fondazioni bancarie per immaginare una nuova strategia industriale di lungo periodo. E naturalmente anche per risolvere tre dossier, che in un certo senso sono espressione del decadimento politico e industriale italiano. Al di là del risultato elettorale, il governo sa bene che non è possibile immaginare una nuova Iri: l’Istituto per la Ricostruzione Industriale è stata un’esperienza positiva nella storia del Paese, ma erano altri tempi. Oggi le risorse sono scarse, i debiti pesano e aumentano. L’unica soluzione è effettuare investimenti mirati che consentano allo Stato di avere voce in capitolo evitando costosissime nazionalizzazioni.

ALITALIA

Non si tratta di un’operazione facile soprattutto per Alitalia e per Telecom che operano in due mercati con margini in assottigliamento. Per l’ex compagnia di bandiera l’esecutivo ha immaginato una cordata di investitori che ruotano attorno alle Ferrovie dello Stato. Fra di loro ci sarà anche il Tesoro che ha prestato 900 milioni all’ex compagnia di bandiera con un finanziamento ancora oggetto di analisi da parte di Bruxelles. Per chiudere il cerchio manca però ancora un investitore. Inoltre, il primo impegno finanziario dei nuovi soci servirà solo per evitare la liquidazione. Subito dopo ci sarà bisogno di altri soldi per gli investimenti necessari al rilancio del gruppo. Dopo le elezioni il governo dovrà quindi fare bene i suoi conti e, nell’interesse del Paese, dovrà decidere se il gioco vale la candela. O se magari è arrivato il momento di abbandonare Alitalia al suo destino. Sapendo che nessuna delle due soluzioni sarà indolore né sotto il profilo politico né tanto meno sotto quello sociale.

TELECOM-OPEN FIBER

Situazione analoga si prospetta per il dossier fibra che vede Cdp in prima linea con il 10% di Telecom e il 50% della rivale Open Fiber. L’obiettivo del governo è creare una sola rete in fibra nel Paese per evitare costose duplicazioni. Per questo l’esecutivo vorrebbe la fusione dell’infrastruttura di Telecom con quella di Open Fiber, società che Cdp controlla assieme all’Enel. Ma i progetti di Telecom sono diversi: l’ex monopolista vorrebbe inglobare la rete di Open Fiber pagando in azioni le quote di Cdp e di Enel. In questo modo, lo Stato tornerebbe ad essere uno dei più rilevanti soci di Telecom, sia pure sotto la soglia dell’Opa, e potrebbe riconquistare un ruolo chiave sullo strategico comparto delle telecomunicazioni. Il rovescio della medaglia è che però Cdp diventerebbe azionista di un gruppo con una trentina di miliardi di debiti, una rete obsoleta e in procinto di realizzare una riorganizzazione con una pesante sforbiciata ai posti di lavoro. Come per Alitalia, anche in questo caso, la scelta per il governo non sarà facile. Tanto più che l’intesa necessita un accordo con i francesi di Vivendi.

SALINI IMPREGILO-ASTALDI

Meno complesso invece il caso Salini Impregilo- Astaldi. Qui l’obiettivo è creare un campione nazionale delle costruzioni. La Cassa ha finanziato a piene mani Salini ed è convinta che l’aggregazione possa funzionare. Ma vuole avere un ruolo nella governance del futuro gruppo. Perché fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Soprattutto quando di mezzo c’è la stabilità finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti, che, come ha in più occasioni ribadito il banchiere Giuseppe Guzzetti, non può essere il pronto soccorso delle società in crisi. Ma deve essere piuttosto lo strumento per riattivare un nuovo circuito economico virtuoso in una strategia di ampio respiro. Al di là di obiettivi politici di breve periodo. Un progetto ambizioso che richiede forza e determinazione all’esecutivo, ma che purtroppo rischia di essere condizionato dall’esito elettorale europeo e dalla miopia della politica.

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