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VENERDI’

Secondo quanto raccontato in esclusiva alla Reuters da tre fonti governative statunitensi e tre del settore privato a conoscenza dei colloqui sul Commercio tra Cina e Stati Uniti, nella serata di venerdì scorso sarebbe arrivato a Washington un plico diplomatico inviato da Pechino contenente un accordo da 150 pagine per porre fine alla diatriba commerciale.

L’intenzione cinese era di firmarlo in settimana ma i contenuti hanno sconvolto il senso dei colloqui in corso da mesi, perché la Cina è sembrata ritirarsi da molti degli impegni che prometteva di prendere con gli americani.

Lunedì sarebbe dovuto arrivare nella capitale americana Liu He, vicepremier cui Xi Jinping ha affidato la gestione dei programmi di carattere economico-commerciale, ma quell’incontro è stato rimandato (Liu arriverà domani a Washington) ed è stato sul punto dall’essere cancellato del tutto proprio (ora si scopre) per i contenuti di quel documento di tre giorni prima che conteneva inversioni da parte della Cina che hanno destabilizzato le richieste di base degli Stati Uniti.

Lo scoop Reuters è online da qualche ora e non è stato ancora smentito, dunque è potenzialmente realistico ciò che racconta, anche perché, in effetti, da domenica Washington ha cambiato bruscamente mood sui colloqui. I toni ottimistici sono stati sostituiti da minacce e ultimatum: quella stringente, di rimbalzo a una dichiarazione del presidente, è arrivata lunedì, quando il rappresentante al Commercio americano – Robert Lighthizer, falco anti-Cina che sta conducendo i colloqui – ha annunciato che venerdì a mezzanotte gli Stati Uniti introdurranno altre misure tariffarie sull’export cinese perché hanno notato che Pechino è arretrata sul percorso negoziale intrapreso da mesi.

I SETTE CAPITOLI DELLA BOZZA DI ACCORDO

Il punto è questo: secondo Reuters, in ciascuno dei sette capitoli della bozza di accordo commerciale, la Cina aveva cancellato i propri impegni di modificare le proprie leggi per risolvere le principali questioni che hanno causato il lancio di quella che i giornalisti americani definiscono la “trade war, la guerra commerciale da parte degli Stati Uniti: furto di proprietà intellettuale e di segreti commerciali statunitensi; trasferimenti forzati di tecnologia; politica della concorrenza; accesso a servizi finanziari; e manipolazione valutaria.

Appena letto il documento, Lighthizer sarebbe rimasto colpito dal cambio di linguaggio legale utilizzato nel testo che i cinesi si apprestavano a presentare a Washington, nonostante lui stesso, insieme al segretario al Tesoro, in quella settimana avesse guidato una delegazione americana rientrata da Pechino con l’idea di pressare la Cina. I contenuti proposti dai cinesi minano l’architettura principale del deal, dicono gli americani, che sono stati colti alla sprovvista dalla portata dei cambiamenti nella bozza.

Oltretutto, due delle fonti dicono all’agenzia che Liu, nei contatti della scorsa settimana, aveva chiesto alla controparte americana di fidarsi della Cina perché avrebbe voluto tener fede ai propri impegni. Da notare che il peso di quei cambiamenti per gli americani è sostanziale: se incassare un ri-bilanciamento sul deficit import/export potrebbe servire più che altro come trofeo da sbandierare in campagna elettorale per il presidente Donald Trump in cerca del secondo mandato il prossimo anno, quelle modifiche sistemiche cinesi sono ciò che le ditte americane (e con loro le europee) chiedono a Pechino affinché possa essere considerato un attore trasparente.

DUE GIORNI PER RISPONDERE

“Le cose sono andate così male che la vera sorpresa è che a Trump è servito fino a domenica per minacciare di mandare all’aria tutto”, dice una delle fonti.

Si tratta di cambiamenti profondi, che richiedono certamente modifiche più o meno strutturali che devono passare all’interno della burocrazia del Partito e del governo del Dragone, ma stante lo stato delle cose, se la Cina non dovesse accettare di eliminare quelle modifiche – sostituendoli con impegni scritti a procedere per le riforme richieste – è possibile che i colloqui che domani inizieranno a Washington si chiudano con un nulla di fatto che aprirà la strada a nuovi dazi americani.

Il contraccolpo, ovviamente, sarebbe enorme, perché si tratterrebbe di un’altra fase di  guerra commerciale tra le prime due economie del mondo. Già il cambio di tono americano ha scombussolato i mercati.

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