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Il vero scontro non è solo tra Usa e Russia ma anche tra Usa e Cina. Una triangolazione di fuoco che va valutata con attenzione sia guardando al singolo caso del Venezuela che ai dossier aperti come le elezioni europee e le frontiere legate alla nuova commissione. Riflette in questi termini con Formiche.net Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto Affari Internazionali, professore onorario all’Università di Tübingen, e Special Adviser dell’Alto rappresentante Ue che, partendo dalla visita del Capo dello Stato all’Eliseo, tocca vari punti apparentemente distanti ma nel merito intrecciati con le strategie italiane e i destini europei.

Mattarella a Parigi, Salvini da Orban: due idee diverse di Europa. Partiamo da Parigi. Non è una visita di Stato, quindi il Colle vuole ricucire? E come?

Al di là di questa visita, il presidente della Repubblica ha svolto un ruolo chiave in quella che è stata una crisi drammatica che non si verificava dagli anni ’40. Ora sembra trascorsa, ma in realtà non lo è del tutto. Una situazione che è stata pesantissima, con uno dei paesi fondatori dell’Ue, grande alleato dell’Italia in sede Ue e Nato, con rapporti bilaterali strettissimi da tutti i punti di vista con cui siamo giunti ad un punto davvero inverosimile in cui il Colle ha svolto un ruolo chiave.

E adesso?

La visita non è che la prosecuzione di quella che è stata la mossa di Mattarella: ha tentato di ricucire, attenuando il colpo, ritrovando un canale di comunicazione con punti di contatto. Ma tutto ciò ovviamente non può sostituirsi alla politica.

Tra Roma e Parigi la pace diplomatica nel segno di Leonardo da Vinci: un controcanto rispetto alle mire di partnership in chiave Ppe/sovranisti tra Salvini e Orban?

Sì. Il contrasto italofrancese è stato su vari versanti: sulla Libia, su Fincantieri. Ma poi ha avuto connotati politici, letti tutti in chiave europea. Macron si è voluto presentare come il leader di una visione europeista, integrazionista e federalista dell’Europa, in netto contrasto con Salvini che internamente ed esternamente si è presentato come leader di un’Europa sovranista. Un conflitto bilaterale proprio perché incorniciato in vista delle elezioni del 26 maggio. Salvini-Orban e Mattarella-Macron rappresentano due visioni contrapposte.

Intanto l’Unione europea deplora l’attivazione da parte degli Stati Uniti della legge Helms-Burton (Libertad) del 1996, che inasprisce l’embargo contro Cuba. Una mossa, guardando al Venezuela, di cui si discute anche a Parigi?

L’Ue ha reagito in modo fermo contro la riattivazione della legge per due motivi. Il primo non ha molto a che fare con Cuba e Venezuela, ma attiene al grande tema dell’autonomia dell’Ue in politica estera ed economica. Il fatto che la riattivazione arrivi a una settimana dall’anniversario della riapplicazione anche all’Europa delle sanzioni secondarie sull’Iran, simboleggia il fatto che gli Usa pretendono che gli europei seguano le indicazioni di politica estera americana che possono cambiare di amministrazione in amministrazione: cosa di cui gli europei si sono stufati. Una premessa utila a ricollegarci alla posizione di Macron sul Venezuela.

Parigi ha sostenuto dal primo momento Guaidò…

Una posizione pro Guaidò ma non subordinata a quella degli Usa. Per cui l’Ue appoggia sì una transizione politica in Venezuale ma la vuol portare avanti a modo suo, e non perché adesso bisogna sanzionare Cuba auspicando che riduca il proprio supporto a Maduro. L’Ue ha un altro modo di fare politica estera. Preciso che il fine sul Venezuela di Trump e Macron è condiviso, ma i mezzi no. Nonostante Italia e Francia sul Venezuela abbiano posizione diverse, non credo che su questo punto ci saranno divergenze future. L’Europa unita si esprimerà, come sta già facendo, contro la Helms-Burton.

Dopo il tentato golpe contro Maduro, il Venezuela è di fatto diventato ufficialmente terreno di scontro tra Washington e Mosca. Si rischia uno scenario in stile vecchia Cuba?

Non solo, ma molto peggio. Ci stiamo riaffacciando ad uno scenario di guerre per procura delle due grandi super potenze per due motivi. Nella guerra fredda lo scontro avveniva all’interno di date regole, a cui si poteva derogare per gravi crisi come fu quella di Cuba in cui il sistema andò in tilt con il rischio di errori che potevano portare ad una guerra nucleare. Ma dagli anni ’80 in poi, nonostate la guerra fredda non cessasse, si sono stabilite regole per gli armamenti. In questo momento tutte queste regole stanno andando in fumo.

La fine del trattato nucleare in Europa quanto incide?

Da un lato vi sono le violazioni russe, dall’altro Trump ha avuto la brillante idea di uscire dal trattato. Vuol dire che su un tema delicatissimo come il nucleare ci stiamo muovendo in un’area senza più trattati. Inoltre non c’è uno scontro solo tra Usa e Russia ma anche tra Usa e Cina, non più semplicemente uno scontro bipolare all’interno di regole certe. Per cui una triangolazione di fuoco che va valutata con attenzione. Quindi il contesto attuale è molto più pericoloso di quello della guerra fredda.

Il crollo della produzione venezuelana di greggio si somma a molte altre limitazioni dell’offerta di petrolio. All’orizzonte una stagione di ulteriore instabilità?

Oramai ci muoviamo in un mondo geo-economico in cui il tema petrolio non ha la stessa influenza di dieci anni fa, perché il dossier energetico sta cambiando. La transizione energetica è un fattore che pesa, per via di possibili effetti negativi non solo per i paesi esportatori come il Venezuela, ma anche per contesti a noi più vicini come quelli legati al Medio Oriente, si veda Algeria o Libia. Il peso relativo è comunque diminuito rispetto al passato, ma si somma ad un contesto di per sé già molto complesso.

twitter@FDepalo

Mattarella a Parigi, Salvini da Orban: due idee diverse di Europa. Parla Tocci

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