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Quando la procedura di infrazione europea diventerà operativa, tra qualche mese, per l’Italia e il suo debito potrebbe essere già troppo tardi. I tempi a Bruxelles sono lunghi. Le sanzioni da comminare all’Italia per aver infranto il patto di Stabilità dovranno prima essere concordate con i Paesi membri, che dovranno esprimersi a maggioranza sulla possibilità di chiedere all’Italia interventi sul debito fino a 10 miliardi l’anno, oltre a un deposito a garanzia degli impegni pari allo 0,5% del pil. Insomma, mesi. Nel frattempo le cose si potrebbero mettere molto male sul fronte del debito, come peraltro sembra far capire in questi giorni il ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona. C’è un’unica strada, la crescita e ancora la crescita. La vera moneta in grado di comprare la fiducia del mercato.

L’ultima emissione del Btp Italia, giunto alla quattordicesima emissione, parla chiaro. Alla fine della terza giornata di collocamento le sottoscrizioni sono ammontate in totale a 863 milioni, facendo segnare risultato peggiore tra quelli delle 14 emissioni fatte dal Tesoro dal 2012 ad oggi. I 5.598 contratti stipulati nella terza giornata sono valsi 140,6 milioni di euro e portano appunto il totale a meno di 900 milioni, un dato molto distante dai 4 miliardi di euro abbondanti dell’emissione precedente, quella di maggio. Se non fosse stato per gli istituzionali (banche e finanziarie) che dal soli hanno sottoscritto 1,3 miliardi, sarebbe stato una vera debàcle. Ma il segnale c’è: poco più di due miliardi raccolti contro i 4 di cinque mesi fa e, soprattutto, scarso interesse degli investitori privati, i piccoli risparmiatori per intendersi.

Adesso bisogna allargare lo sguardo, il che rischia di far scoprire amare realtà. Nel 2019 lo Stato italiano dovrà collocare circa 415 miliardi di debito, soldi necessari a coprire quella parte di spesa pubblica che le tasse non riescono a finanziare. Solo a gennaio il Tesoro dovrà piazzare 51 miliardi tra Bot e Btp, un valore decisamente oltre la media mensile. Insomma, le aste pesanti, quelle dove è davvero importante non fallire il colpo, devono ancora arrivare. Se già adesso la fiducia nei confronti dell’Italia comincia a vacillare, come si potrà garantire a inizio anno la domanda su oltre 50 miliardi di debito?

Certo, ci sono le banche pronte a sostenere il sistema. Ma anche qui c’è un problema. Primo, mesi di spread oltre i 300 punti base hanno deprezzato i quasi 370 miliardi di titoli detenuti in pancia (pari a 1,5 volte i loro patrimoni) e questo riduce la capacità di ulteriori e massicce operazioni di acquisto. Secondo, c’è la questione dei rimborsi delle aste Tltro con cui due anni fa la Bce ha dato una mano agli istituti dell’Ue (si tratta in pratica di un’asta mediante la quale vengono erogati prestiti quadriennali alle banche dell’Eurozona con rendimento poco superiore a quello del tasso di riferimento). Molte banche stanno già accantonando i denari per fronteggiare i rimborsi e i Btp potrebbero dunque non più essere la priorità. Bisognerà insomma contare sui privati che però in occasione del Btp Italia hanno dato segnali di stanchezza (qui l’intervista a Nicola Porro, vicedirettore del Giornale).

Mario Baldassarri, economista, ex viceministro al Tesoro e oggi animatore del Centro studi Economia Reale, la vede più o meno così. “Il problema serio e reale c’è. Non è tanto la singola asta ma gli oltre 400 miliardi da collocare nel corso dell’anno. Diciamo che interverranno i famosi istituzionali, ma diciamo anche che potrebbero non farlo o farlo in misura ridotta. Sappiamo tutti che succederà, salta il banco. Credo che mettere a rischio il bilancio pubblico sia in termini di deficit che di debito è un gioco che non vale la candela perché chi vincerà le elezioni europee a maggio potrebbe ritrovarsi con un Paese da day after ammesso e non concesso che il day after non si scateni già prima di maggio”.

Anche per Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria (qui l’intervento di ieri del presidente Vincenzo Boccia nel corso di un dialogo con i manager), il problema finanziamento del debito c’è. Ma la ricetta è sempre la stessa. Non è difficile indovinarla, la parola magica è crescita. “L’incremento dei tassi d’interesse sui titoli del debito pubblico italiano è strettamente legato all’aumento dello spread. È pertanto fondamentale che il governo attivi il secondo motore della manovra, quello legato alla crescita senza il quale non si giustifica lo sforamento del livello di deficit programmato. Il segnale dell’ultima asta dei Buoni poliennali va colto in tutta la sua gravità per evitare che lo Stato bruci nel servizio del suo debito risorse preziose sottratte alle politiche di sviluppo. Non siamo contrari a manovre espansive ma siamo preoccupati di come le disponibilità saranno utilizzate: se solo per la spesa corrente o anche per investimenti produttivi e in infrastrutture strategiche per il Paese”.

Ecco che cosa rischia (davvero) l'Italia nel 2019. La versione di Panucci e Baldassarri

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