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Separati in casa. Il matrimonio fra Lega e Cinque Stelle è in odor di divorzio con un mese di anticipo. Su cosa? Le elezioni europee naturalmente. Il 27 maggio è stato a lungo additato da opinionisti e addetti ai lavori come il giorno della rottura definitiva dei gialloverdi. Ipotesi fermamente smentita dai due dioscuri di Palazzo Chigi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sempre pronti a rispedire al mittente le gufate. Oggi qualcosa è cambiato. L’ultimo consiglio dei ministri, disertato da gran parte della squadra pentastellata e finito con un incontro di boxe notturno fra i due leader e il parziale stralcio della norma salva-Roma, ha dissipato gli ultimi dubbi. A poco servono ormai le frasi di circostanza, il voto europeo può davvero sparigliare le carte. “La Lega va più forte, il distacco sui Cinque Stelle è di almeno una decina di punti”. Numeri alla mano Nicola Piepoli, il decano dei sondaggisti italiani, ci spiega cosa ha fiutato il suo istituto in vista di maggio. Prudenza è la parola chiave per chi fa il suo lavoro. “I numeri possono essere ingannevoli, manca ancora un mese, una volta il voto era meno flessibile, da qui alle europee può cambiare ancora quattro, cinque volte”. Fatte le dovute precauzioni, Piepoli ci dà il suo verdetto: “Sarà una vittoria consolidata per Salvini”.

Per mettere i tasselli in ordine bisogna prima dare uno sguardo al quadro generale. Se i dati non mentono, l’emiciclo di Strasburgo all’indomani delle elezioni dovrebbe presentarsi più o meno così, dice Piepoli. “Il Ppe passa da 220 a 180 seggi, i socialisti del Pse da 180 a 150-40, questo vuol dire che le due grandi famiglie politiche europee non arriveranno da sole al 51%”. Due i veri aghi della bilancia. Non i sovranisti né tantomeno l’internazionale della democrazia diretta sognata da Di Maio, ma i liberali di Guy Verhofstadt e i Verdi di Philippe Lamberts, “questi ultimi avranno più facilità a coalizzarsi perché sono a maggioranza tedesca e quindi più compatibili con i due grandi partiti germanici”. I sovranisti andranno bene, assicura il sondaggista, ma possono aspirare a far da minoranza di blocco e niente più, a meno che, scherza, “non conteggiamo nel loro gruppo anche En Marche, visto che Emmanuel Macron è il primo sovranista europeo”.

Se il successo di Salvini è quasi assicurato, tutt’altro che scontato è quello dei Cinque Stelle. Una figuraccia europea può essere la miccia che fa deflagrare il governo? Piepoli ci va cauto: “I Cinque Stelle avranno un numero di seggi che oscilla fra i 18 e i 22, ovvero non dissimile dal buon risultato del 2014”. Il voto europeo, continua, “in termini di tendenza è solitamente la fotocopia del voto politico dell’anno precedente”. Sarà, ma sul famoso 40% alle europee Matteo Renzi ci ha costruito il suo successo politico, gli facciamo notare. “È vero ­­–­­ ­­­dice – quello fu uno sviluppo anomalo, ma il successo di Renzi è stato un ampliamento di una realtà già esistente, difficilmente ripetibile”. Che dire invece di un sorpasso Pd sui pentastellati? Di Maio e i suoi colonnelli non nascondono che sarebbe uno shock. “Lo ritengo poco probabile” frena Piepoli, “credevo che con l’elezione di Nicola Zingaretti la salita del Pd si sarebbe fatta meno scoscesa e invece non è cambiato nulla, la crescita dei dem deve fare i conti con freni e resistenze interne”.

Scattata un’istantanea alla politica italiana, Piepoli ci tiene a precisare: “Tutti i partiti in questo momento si ritrovano all’apice di una curva logistica, che in matematica è una curva che parte a crescita zero, raggiunge un picco e poi torna a crescita zero”. Cioè? “Prendiamo Lega e Cinque Stelle. La prima ha già raggiunto il suo apice nei sondaggi e ora inizia a decrescere. A parti inverse anche la curva logistica negativa dei pentastellati lo ha raggiunto, e ora cesserà di decrescere”. In poche parole, nei trenta giorni che separano i gialloverdi dalle europee tutto può succedere. A far la differenza, spiega Piepoli qui accodandosi a quanto detto a Formiche.net dalla collega Alessandra Ghisleri, saranno i temi economici. “Nel voto europeo i temi ideologici contano meno, perché in definitiva gli elettori non pensano all’Europa come un’idea astratta ma vogliono capire cosa può tornare concretamente utile al loro Paese”.

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