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Qualche settimana fa avevamo scritto della patrimoniale occulta che grava sulla testa degli italiani. L’ultimo rapporto della Banca d’Italia sulla stabilità finanziaria ne conferma l’esistenza. Soprattutto ne qualifica meglio la portata ed il salasso che ne è derivato. La contabilizzazione è, al momento, rinviata. Le famiglie preferiscono consumare meno ed accrescere la loro liquidità sui conti correnti. Ma se si tratterà di vendere titoli od azioni il conto, nel tempo, sarà ancora più pesante.

All’orizzonte non si vede il sereno, ma una burrasca ancora peggiore. Come mostrano, appunto, i dati di Banca d’Italia. Le perdite dello Stato sono ancora poca cosa. Dalla nascita del governo gialloverde la spesa per interessi è aumentata di 1,5 miliardi. Le aste vanno quasi deserte, specie se si rivolgono, come nel caso dei Btp Italia, alle famiglie. Circa 2,2 miliardi sottoscritti contro gli 8 – 9 delle precedenti emissioni, nonostante un rendimento dell’1,45%, oltre la copertura dell’inflazione. La palla passerà ancora una volta alle banche, chiamate a svolgere un ruolo di supplenza. Con scarso entusiasmo ed ancor minore determinazione. Questo il calcolo dei maggiori oneri da mettere in preventivo: 1,5 miliardi nel 2018, 5 l’anno successivo è 9 nel 2020. Il costo di una finanziaria.

Nulla a che vedere, comunque, con le perdite dei risparmiatori. Nei primi sei mesi dell’anno quelle maturate sui titoli di Stato sono state pari ad 85 miliardi. Con un calo del valore della ricchezza delle famiglie pari al 2%. Cui sommare un altro 1,5% nei 6 mesi successivi. Per un totale di circa 150 miliardi, che supera abbondantemente l’8% del Pil. Nella seconda parte dell’anno il contributo negativo delle borse, con una forte caduta del valore dei titoli, ha chiuso l’ultimo canale. Se prima si poteva correre il rischio di un investimento più volatile, oggi questa strada è preclusa da un rosso profondo, che rende ancora più incerte le prospettive future.

Ovviamente i primi a reagire sono stati gli investitori esteri, che hanno abbandonato il Bel Paese. Nel solo secondo trimestre le vendite sono state pari al 3% dell’intero patrimonio. La loro quota si è portata al 24%: la più bassa dal 2012. Costringendo le banche italiane ad intervenire, per evitare crolli ancor più rovinosi. Scelta che ha permesso solo di contenere le perdite: al momento contabilizzate pari al 9%, in media del loro patrimonio. Perdite che andranno in qualche modo compensate, spingendo in alto i tassi di interesse su mutui e finanziamenti. Con una stretta che taglierà dal mercato le posizioni più deboli e sofferenti. Altro che tasso di crescita dell’1,5% del Pil, secondo le sempre più irrealistiche previsioni governative.

A guardare questi dati, lo smarrimento è evidente. Difficile ricordare un periodo così travagliato. In pochi mesi il governo giallo-verde è riuscito ad incrinare seriamente le basi della sua credibilità. La crisi del 2011 ebbe origine dal fallimento della Lehman Brothers. Maturò comunque nell’arco di un intero triennio. Oggi l’accelerazione è impressionante. Né sembra trovare ostacolo, considerate le risposte dilatorie dello stesso presidente del Consiglio: Giuseppe Conte. Limitarsi a dire: lasciateci lavorare, senza anticipare una strategia che non parta dal libro dei sogni, ma dalla realtà dei numeri, è rinunciare in partenza a qualsiasi tentativo di porre un argine alle tendenze più rovinose. Che, con il trascorrere del tempo, sono destinate, inevitabilmente, a peggiorare.

Dobbiamo quindi chiederci: perché questo accade? Molte delle scelte di mercato, alle quali abbiamo accennato, sono figlie di un sentimento che ha radici non solo economiche. L’impressione, o meglio la paura, è che l’Italia con il suo “sonnambulismo” (Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione europea) stia abbandonando l’Occidente per rivolgere il suo sguardo ad Oriente. Non si tratta solo del legane privilegiato che si tenta di intrecciate con Putin, ma di qualcosa di più profondo.

Durante il “secolo breve” il passaggio dalla II alla III Internazionale fu segnato dalla contaminazione del marxismo di derivazione tedesca, con il populismo russo, di cui Lenin fu l’interprete più prestigioso. Temi e consonanze della memoria che riaffiorano a distanza di tempo, nonostante le lezioni della storia. Ma almeno allora esisteva una base teorica potente, svanita la quale non resta che l’impulso primordiale contro un nemico da distruggere. Le vecchie classi dirigenti equiparate ad i vecchi aristocratici, prima della Rivoluzione francese. O ai repubblichini dell’esperienza di Salò. Nessuna riflessione seria sulle luci e le ombre di quell’esperienza, al fine di cogliere i relativi errori. Presunti o reali che fossero. Con l’obiettivo di non ripeterli. Ma solo l’idea di una “superiorità morale” che è tutta da dimostrare. E che comunque non rappresenta l’unica bussola, cui affidarsi, per il governo di un Paese così complicato com’è l’Italia.

Il sonnambulismo dell'Italia, tra patrimoniale occulta e perdita di credibilità

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