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Il popolo vuole il condono edilizio tombale? Noi glielo apparecchiamo. Il popolo vuole un reddito sicuro? Siamo qui per questo. Il popolo ha paura e vuole difendersi da solo? Ci pensiamo noi, allargando le maglie della legittima difesa. Il popolo vuole andare in pensione al più presto possibile? Ecco servita una nuova normativa che supera i vincoli di ieri. Il popolo diffida dei vaccini? Anche noi qualche dubbio ce l’abbiamo. Il popolo vuole vendetta contro i corrotti, soprattutto se politici? Per carità, ecco l’abolizione della prescrizione. Il popolo, il popolo, benedetto popolo.

Il popolo vorrebbe una diminuzione generale della tassazione? No, non è il momento, ci sono altre priorità. Il popolo vorrebbe una sanità più efficiente e giusta? Peccato, non si può fare. Il popolo attende un aiuto concreto, concretissimo, per le famiglie con figli? No, deve accontentarsi delle briciole. Il popolo sogna uno scuola che sia luogo di educazione, formazione e futuro? Meglio non toccarla. Il popolo attende la meritocrazia? Ne riparliamo domani. Il popolo, il popolo, maledetto popolo.

Fatte queste due lunghe liste di desideri del popolo, quelli soddisfatti e quelli rimasti lettera morta, ci verrebbe voglia di dire di smetterla di evocare il popolo e il suo potere taumaturgico. Che tale non è, ma solo una mano temporaneamente distesa sul capo dei governanti di turno per compiere le loro scelte in nome del popolo sovrano.

Ma nessuno ci potrebbe mettere al riparo da un popolo che domani decidesse di regolare i conti con la forza all’interno e in campo internazionale, di cancellare tutti i trattati internazionali, di reintrodurre la pena di morte, di mettere in galera gay rom ebrei e chissà chi altri ancora, di riaprire i campi di rieducazione, di avviare una sterilizzazione di massa, di ricominciare a lapidare le adultere, di derubricare lo stupro, di legittimare la pedofilia, di rendere obbligatoria la fecondazione artificiale, di porre un limite di età invalicabile e applicare l’eutanasia senza eccezioni, di innalzare nuovi muri e confini, di sospendere tutti i contratti di lavoro, di reintrodurre la schiavitù, di rinunciare alla famiglia e di abrogare la democrazia. L’elenco potrebbe andare all’infinito. Basta solo pescare nel nostro passato, neanche tanto remoto, o nel futuro distopico suggerito da tanta moderna letteratura.

Ecco perché dovremmo rinunciare a tanta enfasi sulla categoria di popolo. Enfasi che abbonda nella narrazione pubblica dei nostri governanti, sino all’estremo, manifestato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte quando ha affermato che il popolo è la maggioranza degli italiani che ha votato il governo gialloverde. Così diventando – espressione sua – azionista di riferimento del Governo. E tutti gli altri italiani? Sovrana concessione: ma sì, anche loro sono il popolo.

Per non parlare dei due vicepresidenti del Consiglio, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che ogni due per tre chiamano il popolo in loro soccorso per giustificare ogni decisione del governo con la frase classica: “È quello che ci ha chiesto il popolo e che abbiamo scritto nel contratto di governo”. Magari con la pretesa, incautamente sbandierata, di rappresentare il 90% degli italiani. Sgrammaticatura politica se solo si vuole tener conto dell’effettivo peso del voto popolare e non si enfatizzano i sondaggi.

Perciò sarebbe opportuno un uso più sobrio dell’espressione popolo e di tutto quello che essa rimanda. Già sarebbe un gran risultato, anche politico, riuscire a interpretare lo spirito di un popolo. Peccato, però, che la politica viva di consensi. E spesso ogni appuntamento elettorale è l’occasione per alzare la posta dei desideri del popolo. È difficile sapere cosa davvero si aspettino oggi gli italiani dal voto europeo di maggio. Ma presto partirà la corsa al rialzo dei partiti. Se dovessimo proiettare il voto del 4 marzo sulle prossime Europee, dovremmo attrezzarci a una nuova valanga di promesse. Sempre in nome del popolo sovrano e desiderante.

Ad esempio, qualcuno ha parlato di reddito europeo di cittadinanza. Vallo a spiegare, non ai perfidi mercati, ma agli operai della Baviera o agli agricoltori polacchi. Oppure ai popolani francesi e alla finanza lussemburghese. O ancora, ai greci spolpati sino all’osso e agli ungheresi irrequieti.

Attenti a giocare con il fuoco dei popoli. Parlare a loro nome richiede rispetto, equilibrio, discernimento e capacità di pronunciare dei “no” talvolta dolorosi. E il popolo che non accetta i “no” è già pronto al suicidio collettivo. Secondo la migliore (o peggiore?) narrazione distopica…

Attenti a giocare con il fuoco dei popoli

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