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Matthew Kroenig non è solo uno dei più influenti analisti di politica estera degli Stati Uniti d’America – vice presidente e direttore senior director dello Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council – o un professore – alla Georgetown University, una delle mecche delle relazioni internazionali a stelle e strisce – con un passato al Pentagono, ma un vero amante dell’Italia: dopo un anno passatovi in giovinezza, torna tutte le estati per tenere un corso su Machiavelli alla succursale della Georgetown di Firenze. Quest’anno, Kroenig ha avuto modo di unire professionalità e passione per l’Italia, presentando il suo ultimo libro We Win They Lose: Republican Foreign Policy and the New Cold War all’evento organizzato da Formiche al Centro studi americani di Roma. 

Per Kroenig, infatti, ha senso parlare di politica estera repubblicana, al di là dei presidenti. “We win, they lose” fu la risposta che diede Ronald Reagan, interrogato sulla sua politica estera nei confronti dell’Unione Sovietica, ma la stella polare che unisce il partito, Trump incluso. 

Infatti, anche se l’amministrazione Trump è stata contraddistinta da “molta confusione” a livello retorico e di immagine, le differenze si fermerebbero lì. “Il partito è unito su tutti i principali dossier: Cina, Iran, Medio Oriente, Nato, commercio”, con un solo distinguo: l’Ucraina. Se taluni repubblicani, ha spiegato Kroenig, ritengono che l’amministrazione di Joe Biden non stia facendo abbastanza, altri (Donald Trump incluso) credono che stia facendo troppo. 

Politica estera repubblicana, o di Trump che dir si voglia, che, per Kroenig, deve ricevere molto più credito di quanto non gliene venga solitamente dato. Tra il 2016 e il 2020 Putin non ha effettivamente invaso alcun vicino, contrariamente a quanto fatto durante le presidenze di George Bush jr. (Georgia), Barack Obama (Crimea) e Biden (di nuovo Ucraina). Anche in Medio Oriente, per Kroenig, uscire dall’accordo sul nucleare con Teheran, ha portato a risultati positivi: rallentare l’Iran e facilitare gli accordi di Abramo. 

Tutto questo, ovviamente, spiegato con la cartina di tornasole delle elezioni presidenziali e della politica estera di Biden. Kroenig ha fatto ironicamente presente di non avere la sfera di cristallo: “Nel 2012 ero national security advisor della campagna di Mitt Romney, nel 2020 di Marco Rubio, ma adesso credo che Trump ne uscirà vincente”, seppure “Kamala Harris sia una sfida più complessa, essendo in grado di energizzare il voto femminile e di colore, oltre a potersi parzialmente distanziare dai fallimenti dell’amministrazione corrente”. Ci sono grandi differenze tra Trump e i democratici, specialmente su tre dossier cruciali. Sull’Ucraina, “la strategia di Trump e di Biden porteranno entrambe a un compromesso vicino all’attuale linea del fronte, ma quella di Trump arriverebbe prima, salvando vite”. Sulla Cina “Trump ha il merito di aver dichiarato il confronto con Pechino”, mentre Biden “parla da duro, ma poi non si comporta di conseguenza, cosa che Trump farebbe”. Su Iran, “Biden ha imposto ad Israele di non reagire all’attacco missilistico iraniano – porgendo l’altra guancia a un bullo”, aggiungendo “noi repubblicani non facciamo così”. 

E la rilevanza per l’Italia, il “secondo Paese preferito al mondo” di Kroenig? Qui, addirittura, c’è coerenza tra la politica estera repubblicana e democratica (e di tutti i colori italiani): “Siamo due democrazie, alleate da 75 anni, e il nostro rapporto è qui per restare”. Discorso analogo, ovviamente, per il resto d’Europa. Cionondimeno, è importante per noi osservare cosa succede a Washington, perché “un’ipotetica convergenza di valori tra Trump e Meloni potrebbe avvicinarci ancor di più”. E su quello che succede a Roma: “Sono molto felice di sapere che l’Italia ha navi da guerra in Indo-Pacifico e come si muova col Golden power – mi pare stia facendo le cose giuste”. 

Per la fotogallery dell’evento, moderato dalla direttrice Flavia Giacobbe, e per il video integrale. Qui, l’intervista esclusiva a Kroenig.

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