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Ora che sul tavolo della Commissione europea ci sono sia il rapporto di Mario Draghi, sia quello di Enrico Letta, Bruxelles ha due buoni motivi per non perdere più un solo minuto e dare all’Europa una possibilità di rinascita economica, industriale e persino sociale. Del lavoro dell’ex presidente della Bce si parla ormai da settimane, ragionevolmente si intende. Eppure, tre mesi fa era stato proprio Letta ad aprire la stagione dei grandi consigli per un Vecchio Continente a prova di Stati Uniti e Cina, capace di brillare una volta tanto di luce propria.

MERCATO UNICO CERCASI

Lo scorso mese di giugno l’ex leader del Pd e già premier, aveva consegnato nella mani di Ursula von der Leyen le sue personali istruzioni per l’uso, o meglio, di sopravvivenza, in un mondo inevitabilmente condizionato dalla concorrenza sleale da parte cinese, dall’esplosione demografica e industriale dell’India e dalla sempre presente leadership americana. In mezzo, un’Europa piccola piccola e spesso cagionevole di salute.

Letta nel suo programma di quasi 150 pagine, ha tentato di costruire un nuovo modello, da quello che c’è già a quello che dovrebbe essere, partendo dal concetto di mercato unico, del risparmio, dei trasporti, dei capitali. E nell’elencare le riforme necessarie ha fatto un esempio chiarissimo: che libertà di movimento c’è in Europa se non esiste un treno ad alta velocità che colleghi tutte le capitali? Oltre a parlare della necessità di attuare nell’Ue un Inflation reduction act (Ira) come sul modello di quello varato dall’amministrazione Usa di Joe Biden. Non è un’idea isolata, da tempo diversi governi chiedono di proseguire sulla strada intrapresa con il Recovery fund, ossia dare a Bruxelles il compito di accaparrarsi risorse sui mercati dei capitali con l’emissione di eurobond e redistribuire tali soldi agli Stati, in particolare a quelli che fanno più fatica a investire perché impegnati a sistemare i conti e a rispettare il Patto di stabilità.

Tutto ben racchiuso nel volume “Molto più di un mercato” (Il Mulino), attorno al quale si è svolto il dibattito, promosso e organizzato dalla Cassa dei dottori commercialisti presso la sede di Comin&Partners, a Roma. Con la moderazione del presidente della Cassa, Stefano Distilli, hanno dialogato con Letta Federico Freni, sottosegretario all’Economia, e Alessandra Ricci, ceo di Sace, mentre i saluti sono stati affidati a Gianluca Comin, presidente di Comin&Partners.

IL GRANDE ERRORE DELL’EUROPA

“La definizione di Europa oggi è più geografica che altro, quando invece dovremmo immaginare l’Europa come un’entità”, ha premesso Letta. “Quarant’anni fa non si è fatta l’integrazione di cui avevamo bisogno, parlo dei mercati, delle telecomunicazioni. Il risultato è che è stato più facile fare l’euro piuttosto che integrare quei mercati. Anche se fa sorridere il fatto che ci sia una moneta unica con 27 Consob diverse. Il problema rimane la grande debolezza finanziaria dell’Europa, una debolezza che è figlia di quella mancata e fallita integrazione che ho citato. Un drammatico errore che avremmo dovuto sanare in questi decenni, ma così non è stato. E alla fine, ne paghiamo le conseguenze”.

L’ex premier ha poi insistito sui danni collaterali della mancata integrazione finanziaria europea. “Noi europei siamo il mercato più potente al mondo, in termini di consumatori. Allora, perché qualunque transazione su carta di credito viene fatta tramite strumenti americani? Ogni pagamento trasferisce denaro agli Stati Uniti, mi chiedo perché? Sia chiaro, gli americani sono amici, ma pensate cosa vorrebbe chiedere agli Stati Uniti di dare denaro all’Europa, usando le nostre carte. Questo succede perché in Europa c’è una frammentazione totale dei mercati, 27 mercati diversi, facilmente attratti dal contesto americano. E alla fine, persino i nostri risparmi se ne vanno negli Stati Uniti”.

Nelle riflessioni di Letta ha trovato spazio anche la difesa. “Abbiamo speso, noi contribuenti europei, 140 miliardi per aiutare l’Ucraina. Bene, l’80% di questi soldi ha creato posti di lavoro negli Usa e altrove, e questo perché non abbiamo una difesa integrata, frammentata alla stregua dei mercati finanziari. Ma il meccanismo è lo stesso, divisi si perde, uniti si vince. Faccio l’esempio di Airbus, che compete perché ce ne è uno solo. Pensate se ci fossero dieci Airbus in Europa. Ecco, allargare questo modello è la soluzione, un mercato unico in tutti i settori dell’industria. E allora, non c’è che sperare che la nuova legislatura europea metta, al fianco dell’euro, anche una vera Europa finanziaria”.

AZIENDE AL CENTRO

Poi c’è il ruolo delle aziende per la creazione di un vero mercato unico. E qui la parola è passata alla numero uno di Sace, Alessandra Ricci. “Le aziende italiane sono quelle che hanno una dimensione più piccola rispetto a quelle europee. Per questo dobbiamo portare le nostre imprese a una crescita in termini di dimensioni”, ha spiegato la manager alla guida della società assicurativa del Tesoro. “I volani della crescita sono essenzialmente due, le esportazioni e l’innovazione. Perché un’impresa che non esporta, rispetto a una che invece lo fa, genera una grandissima differenza in termini di redditività. Ma per crescere sui mercati estere e dunque esportare, devi spingere su innovazione e competenze. Come è facile capire, le due cose sono assolutamente connesse tra di loro e se oggi riusciamo a fare questo, investire in innovazione per crescere all’estero, possiamo dare vita a un grande, grandissimo potenziale”.

IL MODELLO ITALIA

E l’Italia? Cosa può fare per l’integrazione dei mercati finanziari? Federico Freni ha dato la sua versione. “Possiamo essere completamente d’accordo con quanto scritto nel volume da Letta. Noi possiamo continuare a concepire l’Europa come un’espressione geografica, accettando un lento ma inesorabile declino, oppure diventare qualcos’altro. Io, francamente, non ho il minimo dubbio, dobbiamo ripensare questo continente e diventare finalmente un’entità economica, finanziaria. Quello che veramente trovo assurdo, che solo all’indomani della pandemia, della guerra in Ucraina, abbiamo davvero compreso la necessità di non accettare passivamente il declino”.

Entrando nel merito dei mercati finanziari, Freni ha spiegato come “senza l’unione del mercato dei capitali, senza un assetto sanzionatorio unitario, i capitali non solo non vengono in Europa, ma se ne vanno. E questo perché gli investimenti vanno dove si guadagna e quindi non in Ue. L’Italia, con il ddl capitali, ha dato vita a un riassetto del mercato italiano, stimolandolo alla crescita e avvicinando la finanza alle imprese. Ecco, ragioniamo in chiave europea, stimoliamo un mercato unico. E questo vale anche per le sanzioni e la vigilanza. Chi pensa che questa sia un’opzione, è completamente fuori strada, questa è una scelta tra il sopravvivere e il soccombere. Ma questa scelta che, ripeto, non è un’opzione, la si deve fare tutti insieme”.

O il mercato unico o il declino. Il bivio storico dell'Europa visto da Letta, Freni e Ricci

Il Vecchio continente può scegliere di accettare il declino, finendo con l’essere fagocitato da Stati Uniti e Cina, oppure di darsi una possibilità di rinascita e smetterla di essere solo un’espressione geografica. Il dibattito organizzato presso Comin&Partners dalla Cassa dei dottori commercialisti con Federico Freni, Enrico Letta e Alessandra Ricci

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