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La categoria del Centro è sempre più gettonata. Non c’è riflessione sulla politica e sul sistema politico italiano dove non venga invocata quasi la necessità e l’urgenza di declinare una “politica di centro” per evitare la radicalizzazione del conflitto.

Radicalizzazione che nel nostro paese, come la concreta esperienza insegna, rischia di scivolare pericolosamente lungo i rivoli della deriva degli “opposti estremismi”, tristemente nota e sperimentata alcuni decenni fa.

Ma è indubbio che la radicalizzazione del conflitto politico da un lato e la polarizzazione ideologica dall’altro non rafforzano, anzi, indeboliscono quella democrazia dell’alternanza che era e resta la condizione basilare per dare stabilità ed efficienza al nostro sistema politico.

Ora, e proprio parlando di come rafforzare questo progetto politico, quasi si impone – a prescindere dallo stesso sistema elettorale – un’iniziativa politica che rilanci quella “politica di centro”, termine caro alla miglior tradizione democratico cristiana, anche in vista delle prossime elezioni politiche generali.

Perché se è vero, com’è vero, che l’attuale coalizione di sinistra e progressista è gestita esclusivamente dalle forze di sinistra – quella radicale e massimalista della Schelin, quella populista e demagogica dei 5 stelle di Conte, quella estremista ed ideologica del trio Fratoianni/Bonelli/Salis e quella pan sindacale della Cgil di Landini – e dove il Centro è del tutto marginale e periferico, al di là del movimentismo dei vari Renzi, Ruffini, Onorato, i Civici del Pd, Demos e chi più ne ha più ne metta, anche nella coalizione di governo il Centro non detta affatto l’agenda politica.

Per la semplice ragione che la leadership politica di Giorgia Meloni è talmente forte, spiccata e riconosciuta che non c’è uno spazio effettivo e reale per altre componenti.

Partiti e leadership che certamente esistono e giocano un ruolo anche significativo ma che non riescono, oggettivamente, a mettere in discussione il progetto politico incarnato e rappresentano dall’attuale presidente del Consiglio.

Ed è proprio in un quadro del genere che emerge la concreta possibilità per una forza centrista di potere dispiegare sino in fondo la sua iniziativa politica.

Un progetto che necessita di un apporto culturale plurale e che sia capace di declinare quella “politica di centro” e quella prassi e indole riformista e autenticamente democratica che, purtroppo, è carente negli altri due schieramenti.

Del tutto assente, per ragioni talmente oggettive che non richiedono neanche di essere ulteriormente approfondite, nel campo della sinistra progressista e ancora troppo debole nello schieramento alternativo.

E l’iniziativa di Carlo Calenda con il suo partito Azione può colmare questo vuoto di presenza e di elaborazione politica concreta.

Un progetto che già in altre fasi politiche del nostro paese ha fatto capolino.

Basti pensare al progetto del “Patto Segni” con Franco Marini e Mino Martinazzoli nel ‘94, a quello di Pier Ferdinando Casini con il CCD nel 2008, a quello dello stesso Mario Monti con Scelta Civica nel 2013 e al più recente, e sfortunato, progetto del “Terzo polo” nel settembre 2022.

Un progetto, quello di Carlo Calenda, che richiede come ovvio la presenza e il protagonismo di tutte le componenti culturali riconducibili al Centro riformista, democratico e di governo.

A cominciare, appunto, dalla componente cattolico popolare e cattolico sociale.

Ma, comunque sia, questa è una fase politica che richiede coraggio, coerenza e determinazione.

Soprattutto per chi ha la “mission” di salvare e rilanciare un Centro riformista e di governo a fronte di una crescente radicalizzazione politica e polarizzazione ideologica.

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