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Proverò a spiegare cosa ci possa essere di buono nell’indecoroso spettacolo andato in scena ieri nelle vie del centro di Napoli. La triste pantomima, montata ad arte per il matrimonio fra il cantante neomelodico e la vedova di un presunto boss, potrebbe (dovrebbe?) essere l’occasione per una presa di coscienza collettiva. A Napoli, convivono da sempre, in modo ancor più marcato da alcuni anni, due anime, che più lontane non potrebbero essere. Quella della città, capace di riconquistare un volto internazionale, a dispetto di atavici problemi tutt’altro che risolti e quello di un tessuto sociale marcio. Capisco possa apparire politicamente scorretto dirlo, ma non è facendo finta di niente che si potrà affrontare il problema di aree della città, in cui lo Stato semplicemente non esiste.

Il Gomorra-style di ieri non è ovviamente casuale. Risponde a un’esigenza di riconoscimento di determinati ruoli, funzionali al mondo capovolto, di interi quartieri cittadini. Quei personaggi, perché si tratta di vere e proprie maschere, riconducibili a specifici ruoli, l’ostentazione iper trash, la festa senza allegria, sono tutti dei messaggi. Sono affermazioni di un modo di essere, che non è più contro le regole dello Stato, ma ne prescinde.

Questo è il dramma nel dramma. La sostanza non c’è, c’è una forma, che si richiama alla peggiore napoletanità, che io amo definire napoletanismo. Un atteggiarsi sguaiato, sbruffone, in definitiva disperato. L’antico dibattito sui guasti che avrebbe causato Gomorra non deve essere vissuto, è la mia opinione, chiedendosi se abbia fatto male all’immagine di Napoli. Potrei cavarmela ricordando che quest’ultima non doveva certo aspettare la serie Tv…

Il punto è che il Gomorra-look trionfa in aree ben precise. Ambasciatore di terre senza Stato. Non vedrete certi baffetti, certi tagli di capelli a Posillipo, Chiaia o al Vomero. Questo, però, è un fenomeno che Napoli conosce bene e che non ha mai affrontato: sapere perfettamente cosa accada, ma accontentarsi che non accada sotto casa, nel quartiere “bene”. Nelle zone, dove possiamo celebrare il trionfo del turismo e la nascita di una nuova imprenditoria, legata alle masse di visitatori che si riversano in città.

Questo antico vizio, questo rimarcare con disprezzo le differenze, parlando, vestendosi, vivendo in modo ostentatamente opposto a quello degli “altri”, non può che generare il pericoloso strabismo di oggi. Qual è la vera Napoli? Tutte e due, ovvio. E finché la prima farà finta che la seconda non esista o cercherà almeno di non vederla, Napoli ripeterà se stessa.

L’imbarazzante matrimonio di ieri, dunque, è un’occasione. Tutti sono chiamati a decidere cosa fare, Accontentarsi di non far parte di quella tragedia sociale o dare, ciascuno per la sua parte, un contributo, per superarla. Altrimenti, non si avrà il diritto neppure di lamentarsi che la patria di Roberto Murolo e Pino Daniele sia oggi musicalmente rappresentata da quell’offesa alla tradizione, che sono i cantanti (?) neomelodici. Al massimo, si potrà scegliere di non ascoltarli.

Tutti i messaggi del matrimonio di Napoli Gomorra-style

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