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Ufficialmente doveva essere un summit a quattro sul destino della Siria. In realtà è stata una riunione a porte chiuse, dove Vladimir Putin ha dettato le condizioni, dando nel contempo un contentino a tutti. Alla fine, è stato diramato il consueto comunicato che suona come una dichiarazione di intenti, ma un po’ meno dei summit precedenti, se non altro perché adesso Germania e Francia, ognuna per i propri motivi, sembrano determinate a porre meno condizioni purché la guerra civile siriana, che dal 2011 fino adesso è costata 465mila vittime e 12 milioni di sfollati, finisca presto.

Obiettivo principale del summit a quattro era la creazione di un cessate il fuoco duraturo e la demilitarizzazione della zona di Idlib, l’unica rimasta sotto il controllo dei ribelli al presidente siriano Bashar al-Assad. Se il numero uno di Damasco dovesse riuscire a mettere le mani anche su Idlib, allora avrebbe vinto quel conflitto che lo ha visto, almeno secondo parte della comunità internazionale, tante volte a un passo dal tracollo. Perché il cessate il fuoco venga raggiunto, è necessario che tutte le parti in causa, quindi anche Germania e Francia, accettino le conclusioni del vertice di Astana, che ha visto la partecipazione di Russia, Iran e Turchia e di quello di Sochi.

A fare gli onori di casa è stato il presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdogan, che ha utilizzato questo summit come sempre anche per fare un po’ di propaganda in vista del voto amministrativo del prossimo 31 marzo e che, più di tutti, è interessato alla creazione di una zona demilitarizzata intorno a Idlib perché questo gli permetterebbe di fare due cose. La prima è continuare a indebolire i curdi siriani, la seconda è rimandare se non proprio a casa propria, almeno al di là del confine, gli oltre tre milioni di rifugiati che da anni ormai vivono in Turchia e che, al di là dei proclami di solidarietà e fratellanza, ormai rappresentano un grosso problema. Non solo. In questo modo, Erdogan, con l’invio nella zona di Idlib di migliaia di persone, potrebbe variare la composizione demografica del territorio, indebolendo così la componente curda.

Merkel e Macron possono solo decidere di prendere o lasciare, ma difficilmente opteranno per la seconda. La cancelliera tedesca è sotto pressione per i problemi derivanti dalla forte spinta migratoria, mentre il presidente francese deve anche pensare all’emergenza terrorismo. Bisogna poi contare che l’accettazione delle condizioni di Putin è a conditio sine qua non per partecipare a quella grande lotteria che sarà la ricostruzione della Siria.

La road map, quindi, esiste, ma gli equilibri sono precari. La madre di tutte le battaglie, soprattutto per il presidente Erdogan, continua a essere la sorte di Bashar al’Assad. Se nella conferenza stampa finale, la cancelliera Angela Merkel ha sottolineato come sul Paese debba essere trovata una “soluzione politica”, il capo di Stato turco ha detto che il destino di Assad dovrebbe essere segnato da tutto il popolo siriano, piuttosto che da “alcuni individui”, nella speranza, ovviamente, che il popolo siriano scelga di fargli fare la fine che auspicherebbe lui e che di certo somiglia più al truce che al magnanimo.

Su di tutti, però, regna sovrano il volere del capo del Cremlino, per il quale il territorio siriano deve rimanere unico e indissolubile e il conflitto deve essere ricomposto con la diplomazia. Anche Putin ha parlato del rispetto del volere della popolazione, ma solo in un secondo momento, ennesimo contentino distribuito a chi sapeva che, sedendosi a quel tavolo, ha accettato che si faccia come dice lui.

La difficile road map per la Siria. Il vertice in Turchia e la leadership russa

Ufficialmente doveva essere un summit a quattro sul destino della Siria. In realtà è stata una riunione a porte chiuse, dove Vladimir Putin ha dettato le condizioni, dando nel contempo un contentino a tutti. Alla fine, è stato diramato il consueto comunicato che suona come una dichiarazione di intenti, ma un po' meno dei summit precedenti, se non altro perché…

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