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Cartelli rossi per il Partito democratico, cartelli blu per Forza Italia. Oggi in Parlamento l’opposizione rialza la testa, protestando (non senza elementi di ragione) per un decreto sull’emergenza di Genova che diventa legge portandosi dietro altri provvedimenti vari, come ormai succede da troppi anni nella nostra un po’ sgangherata vita parlamentare.
Quindi per la prima volta dopo molti mesi le forze sconfitte il 4 marzo trovano un momento di entusiasmo, come ben dimostrato dalla foga di molti interventi nell’aula di Montecitorio.
D’altronde la maggioranza è in difficoltà per due ragioni diverse ma convergenti sotto il profilo della tempistica, cioè la manovra d’autunno (che è sempre momento delicato per i governi) e la evidente, dolorosa conversione in atto del M5S da movimento di protesta a forza di governo, conversione dall’esito tutt’altro che scontato.

È dunque iniziata la rimonta degli sconfitti di primavera? Siamo alla vigilia di una inversione di tendenza nelle inclinazioni degli elettori? E, soprattutto, le opposizioni hanno fatto tesoro dei loro errori del recente passato? Dal punto di vista del consenso non si registrano sostanziali novità, come emerge dal sondaggio Swg per La7 di questa settimana.

Le forze di governo sono stabili (quasi al 60% di preferenze e con la Lega davanti al M5S), mentre il Pd è ancora decisamente sotto il risultato di marzo (1,7 % in meno) e FI veleggia poco sopra la metà dei voti raccolti a primavera (oggi 7,9 % contro il 14 di marzo).
Perciò allo stato non si vedono sconquassi o ripensamenti nel corpo elettorale, pur essendo evidente l’inquietudine che serpeggia tra eletti ed elettori a cinque stelle, anche grazie a repentine (ma salutari e utili all’Italia) “inversioni a U” su temi come Ilva e Tap (chi scrive è pronto a scommettere che finirà allo stesso modo anche per Tav).

Accanto ai numeri però c’è anche molta materia politica di cui discutere. E qui va detto con franchezza che tanto in casa “azzurra” quanto nei dintorni del Nazareno nulla di interessante si è visto in questi mesi. Dalle parti del Cavaliere infatti c’è ben poco dibattito, poiché nessuno (tranne Toti e pochissimi altri) prova a ragionare sul futuro senza usare lo schema unico in vigore dal ‘94, facilmente riassumibile nell’espressione “ci pensa Berlusconi”.

Questa risposta però non è più sufficiente, perché il tempo è passato e, nel frattempo, nulla è più come prima. Basti ricordare a tal proposito che la discesa in campo del tycoon di Arcore avviene nel mondo della TV, mente oggi siamo in quello dei social.

Non molto diversa è la situazione in casa Pd. È vero che si sta svolgendo un percorso di avvicinamento al congresso, governato con pazienza dal civile e volonteroso Martina.
Ma è anche altrettanto vero che la sinistra italiana sembra incapace di ragionare sul proprio ruolo, sulla propria inadeguatezza ad interpretare i bisogni dei ceti popolari, sulla devastante litigiosità messa in campo in questi ultimi anni.

Zingaretti, Minniti, Richetti e forse lo stesso Martina: si lotta per la leadership del partito (e va bene) ma lo si fa per fare cosa e su quali diverse idee?
Il Pd sembra prigioniero dello stanco e autoreferenziale rito del congresso, mente fuori la gente non capisce e una parte del partito (quella più vicina a Renzi) sembra già con la testa e con il cuore da un’altra parte. E allora sia chiaro a tutti che con questo Pd e questa FI lo sveltissimo, implacabile ed efficace Salvini continuerà a giocare come il gatto con i topolini. Almeno per ora.

M5S vacilla, ma Pd e FI sono all’anno zero

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