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Il 20 settembre, se fossimo un Paese normale, sarebbe festa nazionale: il giorno dell’unità d’Italia, con la presa di Roma a Porta Pia. Ma non si festeggia, e siamo tra i rari Paesi al mondo a non celebrare la giornata della sua unificazione.

Il Paese ha rinunciato da tanto alla sua coscienza collettiva e a una storia condivisa; e paga il piccolo fio, rimanendo fluido e quasi gassoso, della volatilità cui si trova esposto.

I punti fermi servono. Nella storia come nella vita. Ho portato mia figlia al memoriale garibaldino del Gianicolo per raccontarle le gesta della liberazione di Roma e l’unitá d’Italia. Il sacrario in apertura straordinaria oggi aveva i quattro bracieri della memoria accesi, con le fiamme al vento. Un monumento maestoso e vuoto, non abitato. Come non è abitata ormai più la memoria.

C’eravamo noi due, davanti a “Roma o Morte”. E nessun altro. Non c’era un gonfalone del Comune, o una corona a terra. Non c’erano indicazioni in inglese per i tanti turisti che passano, ignari, lì davanti. Nessun accenno alla memoria. Nessun pannello.

Non c’era più neanche Roma, che ultimamente, per la vergogna, forse ha scelto la seconda opzione del motto garibaldino, ed è morta dentro.

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