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Da un anno l’Egitto tenta di mediare una riconciliazione tra Fatah e Hamas, intensificando gli sforzi per arrivare a un accordo generale anche con Israele. Mentre Fatah e Hamas arrestano i rispettivi attivisti, le tensioni al confine di Gaza aumentano. Il leader Sinwar sembra parlare di tregua, ma sul campo continuano gli scontri.

Il 22 settembre due rappresentanti egiziani visitano la Striscia di Gaza dopo gli incontri con i rappresentanti di Fatah, nel tentativo di salvare il dialogo tra le fazioni palestinesi. Lo stesso giorno Khalil al-Haya, tra i leader di Hamas a Gaza, rilascia un’intervista al giornale Felestin avvertendo Abu Mazen che se non termineranno le sanzioni, perderà il potere.

Questa settimana rappresentati di Hamas si recano in visita al Cairo, per proseguire i colloqui mediati dall’Egitto, su cui non sono stati rilasciati dettagli. In un’intervista pubblicata su La Repubblica e sul quotidiano israeliano Yediot Aharonot, il leader di Hamas Yahya Sinwar sembra voler tendere una mano alla pace. La stessa intervista ha causato uno scandalo nel mondo palestinese. Hamas ha rilasciato un comunicato in cui ha accusato la giornalista, Francesca Borri, di aver sottaciuto l’intenzione di pubblicare l’intervista in un giornale israeliano e ne ha pubblicato una propria versione.

La tregua secondo Sinwar si raggiungerà con la fine dell’embargo su Gaza, considerando gli attacchi a Israele un metodo di difesa. Sinwar considera lo stesso embargo una conseguenza alle libere elezioni del 2006, da cui Hamas è uscita vincitrice.

Hamas si considera il legittimo rappresentate del popolo palestinese e Fatah si sente sotto pressione. Lo stallo dei negoziati mediati dall’Egitto hanno portato una nuova escalation delle tensioni a Gaza. Le manifestazioni al confine della Striscia, nominate “la Grande Marcia del Ritorno” sono arrivate a un nuovo apice questo fine settimana con 20,000 manifestanti, intensificati lanci di aquiloni incendiari, 3 morti palestinesi e attacchi militari a obiettivi di Hamas. Gli aquiloni hanno causato negli ultimi sei mesi circa 2000 incendi in Israele, mentre le nubi di fumo create dai copertoni bruciati al confine sono disperse con enormi ventilatori.

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, riferendosi al mese di festività ebraiche del mese scorso, avverte Hamas: “adesso le feste sono finite: tenetene conto”. Poi l’ordine di dispiegare le forze al confine di Gaza e la riduzione delle acque navigabili alle coste della Striscia. Le misure israeliane sono considerate un’aggressione, mentre Hamas urla vendetta per ogni militante ucciso da fuoco israeliano. Israele sostiene di colpire solo obiettivi che tentano di forzare la barriera di sicurezza o cecchini di Hamas che si nasconderebbero tra la folla di manifestanti.

Fatah ha riunito sabato 6 ottobre il Comitato Esecutivo in una riunione straordinaria presieduta da Abu Mazen, che Mahmud Al-Alul, vice presidente del movimento, e Saleh Raafat, membro del Comitato Esecutivo, hanno detto alla radio “Sawt Falastin” essere finalizzata alla definizione di una nuova agenda verso Stati Uniti e Israele.

Ramallah vuole il controllo di Gaza, e con Israele condivide l’interesse a che Hamas accetti il disarmo, ma non è disposta a parlare a Israele. Per contro, Fatah continua con il boicottaggio degli USA, percepiti come troppo vicini a Israele e minaccia di interrompere qualsiasi finanziamento a Gaza – oltre alle sanzioni che hanno ridotto Gaza allo stremo.

Sinwar dice di non volere un’altra guerra con Israele e di operare solo per il bene della popolazione palestinese, cioè con lo scopo unico di porre fine all’embargo di Gaza e alle sanzioni di Ramallah. Eppure l’intensificarsi degli scontri al confine dimostrano il potere del movimento islamico, che ha tutto l’interesse ad aumentare gli scontri facendoli passare come conseguenza della disperazione del popolo di Gaza.

Se il primo obiettivo di Israele è riportare la calma che ai confini regnava dalla fine dell’operazione Margine Protettivo del 2014, uno scenario ancor più cupo si prospetta: cioè la presa di potere di Hamas anche a Ramallah.

Hamas parla di tregua con Israele, di cessazione dell’embargo, di riconciliazione con Fatah, ma continua gli scontri, senza voler cedere le armi. Fatah rifiuta il dialogo con Israele con mediazione americana e aumenta le sanzioni su Gaza proprio quando perde consensi interni e appoggio internazionale. Se Abu Mazen deciderà di aumentare le sanzioni su Gaza, Israele ne pagherà le conseguenze con una nuova ondata di violenza. Dovesse decidere di aprire al dialogo con Israele, dopo aver iniziato nuove procedure contro Israele in ambito internazionale, perderebbe altro consenso sociale. Rimane per Israele da scongiurare un cambio di potere nella West Bank.

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