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Gli Stati Uniti sono pronti a contromisure (compresa l’eliminazione dei missili russi) nel caso in cui Mosca non interrompa lo sviluppo di armamenti a raggio intermedio capaci di portare testate nucleari. È l’avvertimento, diretto al Cremlino, del rappresentante statunitense alla Nato Kay Bailey Hutchison, intervenuta in conferenza stampa alla vigilia del vertice che, domani e dopodomani, riunirà a Bruxelles i ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica.

LA DENUNCIA STATUNITENSE

La questione non è nuova, ed è stata anzi sollevata diverse volte negli ultimi anni da entrambe le parti. Il riferimento normativo è il trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces), siglato nel 1987 da Stati Uniti e Unione Sovietica, che proibisce esplicitamente il dispiegamento a terra di missili con un raggio fra 500 e 5.500 chilometri. La nuova accusa statunitense, anche se la Hutchison non ha fatto riferimento a un sistema in particolare, riguarda con ogni probabilità l’SSC-8, un missile da crociera con raggio intermedio in fase di sviluppo da parte della Russia. Sullo stesso vettore si erano d’altronde rovesciate le accuse del capo del Pentagono, James Mattis, a novembre del 2017. Anche in quel caso, le rimostranze statunitensi arrivarono nei giorni della ministeriale difesa della Nato, quasi a simboleggiare il tentativo di Washington di aggregare l’Alleanza Atlantica sul tema.

IL CONTESTO NATO

Oggi come allora, il tentativo è riuscito, e infatti alle parole della Hutchison si sono rapidamente aggiunte quelle del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, sebbene il trattato in questione sia esclusivamente bilaterale. “Siamo preoccupati perché la Russia non rispetta i trattati internazionali sui missili a medio raggio”, ha detto. “Non ha fornito risposte credibili sul nuovo missile – ha aggiunto – ed è quindi urgente che Mosca affronti queste preoccupazioni in modo sostanziale e trasparente”. In alternativa, ha spiegato la rappresentante Usa, gli Stati Uniti sarebbero pronti a “contromisure”, compresa l’ipotesi di “eliminazione dei missili russi”.

VERSO TRIDENT JUNCTURE 18

Nel frattempo però, è proprio l’Alleanza Atlantica a offrire una pronta risposta. A fine ottobre, in Norvegia andrà in scena Tident Juncture 18, che viene presentata come la più grande esercitazione della Nato dalla fine della Guerra fredda, con 45mila soldati, 150 aerei, 10 navi e più di 10mila veicoli. Più che ai missili intermedi, la manovra sembra rappresentare (soprattutto nella dialettica) la risposta alla mastodontica Vostok 18 russa, organizzata a settembre in Siberia con 300mila soldati impegnati in molteplici attività (anche in quel caso, “la maggiore dalla fine del confronto bipolare”). Si tratta, ricordano gli esperti, di esercitazioni periodiche che richiedono tanti mesi (se non anni) di preparazione, ed è dunque difficile inserirle in una logica netta di botta e risposta. Eppure, il senso attribuito dai vertici politici dà segnali importanti in questo senso, e non pare un caso l’accusa puntuale degli Stati Uniti al programma missilistico russo. Tra l’altro, proprio il vertice di domani e dopo domani tratterà anche il dossier Russia. I ministri della Difesa discuteranno della postura dell’Alleanza, comprese le novità che i capi di Stato e di governo hanno deciso nel summit dello scorso luglio. Tra queste, ci sono i “Four thirties”: avere a disposizione, entro il 2020, 30 battaglioni meccanizzati, 30 squadroni aerei e 30 navi da guerra in grado di essere operativi in 30 giorni.

ACCUSE E CONTRO ACCUSE

Tornando ai missili, già nel 2016, era stato l’allora presidente Barack Obama a denunciare formalmente la Russia di violare l’Inf Treaty. Nello stesso anno però, simili accuse erano arrivati da Mosca contro le manovre americane in Europa orientale, ribadite anche nei mesi scorsi dal Cremlino. Oggetto delle rimostranze russe era (e resta) il dispiegamento del sistema di difesa missilistica Aegis Ashore in Romania (proprio nel 2016) e in Polonia (che sarebbe dovuto entrare in operatività quest’anno, ma che sembra slittare al 2020). Secondo i russi, oltre ai tradizionali intercettori, il sistema sarebbe in grado di lanciare anche i Tomahawk, armamenti della stessa categoria di quelli proibiti nel trattato del 1987. Sebbene il Pentagono abbia sempre negato questa ipotesi, il National defense authorization act (Ndaa) per l’anno fiscale 2018 autorizzava proprio il dipartimento della Difesa a iniziare un programma di ricerca e sviluppo su un nuovo missile di raggio intermedio per il lancio da terra (paragonabile all’SSC-8 russo, e come questo, vietato nell’Inf Treaty). “Il nostro sforzo è portare la Russia al rispetto dell’accordo, non di abbandonare il trattato”, si giustificava Mattis. Ad ogni modo, il dibattito è destinato a proseguire, anche se la tensione si alza e rischia di innalzare una nuova escalation (quantomeno nei toni).

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