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C’è grande fermento nella Chiesa italiana per la questione dei cosiddetti migranti. Le immagini diffuse dalla Sea Watch, che mostrano i segni di torture patite, sembrano dire che siano meglio definibili come asilanti, persone in fuga da persecuzione, lager, fame. Alcuni mesi fa un documento redatto da alcuni docenti e operatori pastorali e promosso dall’associazione “Cercasi un fine”, che chiedeva ai vescovi italiani di registrare il pericolo del diffondersi di forme di razzismo nel nostro Paese, ha raccolto migliaia di firme di presbiteri, vescovi, teologi, membri di consigli pastorali, fedeli. Tra gli animatori di “Cercasi un fine” è attivo dall’inizio il professor Rocco D’Ambrosio, docente alla Pontificia Università Gregoriana. Interlocutore importante per capire come sia stata accolta la decisione della Chiesa di offrire accoglienza ai minori che si trovano a bordo della nave Sea Watch.

“Ho una perplessità. Perché offrire accoglienza solo per i minori? Non abbiamo risorse sufficienti per accogliere quella quarantina di profughi salvati dalla Sea Watch? Oppure c’è qualche preoccupazione politica? Non si vuole rendere evidente un dissenso da scelte governative? La storia della Chiesa insegna che i gesti che poniamo devono essere sempre accompagnati da grande chiarezza sui contenuti, non basta l’accoglienza, serve anche chiarezza: il Vangelo è contro ogni forma di razzismo e di esclusione”.

La Chiesa italiana però è impegnata, è oggettivamente in prima linea per accogliere.

È impegnatissima e siamo grati a tutti gli operatori, i volontari della Caritas e tanti altri. Tuttavia per dirla con una battuta alle volte sembriamo buoni samaritani a metà.

Cosa vuol dire?

Vuol dire  accogliere minori e non adulti, parlare di accoglienza e non di razzismo, criticare alcune posizioni e non chi le assume.

Ma questo grandissimo problema deve essere affrontato solo dai vescovi?

Assolutamente no. Anche nell’affrontare questo problema così rilevante lo stile deve essere ecclesiale. Mi riferisco a consigli parrocchiali e diocesani, consigli presbiterali, che devono tutti approfondire il problema e prendere posizioni. C’è chi lo ha fatto, ad esempio la diocesi di Pisa, i vescovi Vincenzo Apicella, Giovanni Ricchiuti e altre realtà diocesane; saranno poche, ma sono significative. Per dirla in altri termini: il papa ci ricorda le priorità dell’oggi, “povertà, corruzione e tratta delle persone”. Se queste sono le sfide, tutte le Chiese locali devono rispondere con parole profetiche e gesti concreti.

È sempre più presente, soprattutto sui social media, la richiesta di non pensare agli stranieri, ma di prendersi cura prima degli italiani poveri.

Chi scrive o dice queste non ha messo mai piede in una mensa o in un centro d’ascolto della Caritas, o nei loro dormitori. Lì non si chiede il passaporto, a nessuno, ma si guardano gli occhi delle persone, si guarda chi ci si trova davanti. Chi dice queste cose forse obbedisce più a logiche di propaganda politica che a un sincero intento di aiutare gli ultimi. Che sono Gesù tra noi, sempre e comunque.

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Non si può essere buoni samaritani a metà. Le perplessità di D’Ambrosio

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