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L’obiettivo del governo era trovare la quadra entro Ferragosto. Invece sull’Ilva occorrerà aspettare ancora qualche giorno, sempre che una soluzione si trovi. Una soluzione industriale s’intende perché l’alternativa, come peraltro prevede lo stesso contratto gialloverde, è la chiusura dell’impianto dunque 14 mila persone mandate a casa.

Ieri da parte di Arcelor Mittal c’è stata un’apertura di credito importante all’indirizzo del governo, dopo giorni di fumosi incontri ancora senza uno sbocco (qui l’approfondimento): disponibilità a proseguire il negoziato per arrivare a un assetto che consenta al gruppo franco-indiano di rilevare l’acciaieria senza subire troppi contraccolpi per il resto del business di Mittal.

Uno dei nodi più delicati e su cui permangono posizioni distanti con i sindacati riguarda però i quasi 4 mila lavoratori che Mittal vorrebbe far fuoriuscire dall’Ilva una volta completata la bonifica dell’area e degli impianti. Una disponibilità, quella di Arcelor, accolta con favore dai rappresentanti dei lavoratori dell’Ilva, che però ribadiscono le loro richieste: subito l’assunzione di 10.700 lavoratori e a fine piano garanzie per i restanti 3.300.

A quasi una settimana dall’ultimo tavolo concluso con un nulla di fatto, Mittal tenta così di riaprire il dialogo e la partita: “le porte non sono state chiuse. C’è la volontà di trovare per ciascun lavoratore una soluzione equa, efficiente ed efficace al problema occupazionale. Gli incontri sono continuati nei giorni scorsi a livello tecnico e legale tra Arcelor Mittal e Mise. Numeri al momento non ce ne sono. Mittal resta comunque fondamentale la sostenibilità del conto economico dell’azienda”.

Questo significa solo una cosa, palla di nuovo al governo. Il quale però vive una situazione di impasse, perché in attesa di quel parere dell’Avvocatura dello Stato (a Ferragosto?) che dovrebbe certificare o meno l’irregolarità della gara indetta dal precedente governo.

Di Maio però non vuole mollare la presa, giocando il tutto per tutto in quest’ultimo mese (dal 15 settembre, almeno a sentire i commissari, ci potrebbero essere problemi di cassa per lo stabilimento. In un mese Di Maio deve costringere Mittal a mettere nero su bianco l’impegno a non tagliare la forza lavoro una volta completato il risanamento. Almeno per il momento il ministro e vicepremier rimane sulle sue, non concedendo altro spazio a Mittal (in mezzo ci sarebbe anche un presunto conflitto di interesse tra Mittal e l’Avvocatura, sollevato da alcuni parlamentari grillini di Taranto).

“Quando ci saranno i presupposti per un accordo li metteremo sul tavolo e cercheremo un’intesa, ma ancora non ci siamo”, si legge in un passaggio della sua intervista al CorSera. Però nelle trattative, soprattutto quelle industriali, c’è una regola che vale sempre. Se si cede da una parte, allora bisogna farlo anche dall’altra.

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