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Il presidente Xi Jinping sarà a Roma a marzo, dopo che da dieci anni un capo di stato cinese non si recava in visita ufficiale in Italia. Non c’è ancora una data definita (i rumors dicono attorno al 20 marzo), il lavorio diplomatico è intenso, e all’interno di questo quadro venerdì arriverà per incontri con il governo italiano il ministro degli Esteri di Pechino.

La visita, e la sua eccezionalità lo dimostra, è considerata strategicamente centrale. L’ultima volta, spiega Andrea Pira su Milano Finanza – il giornale è di proprietà del gruppo Class Editori, che ha una collaborazione con la cinese Xinhua e anche per questi link aveva anticipato la notizia – “era il giugno del 2009, alla guida della seconda economia al mondo c’era Hu Jintao, in Italia anche per partecipare al vertice del G8 all’Aquila, e presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi“.

Xi era già stato in Italia in realtà, a fine del 2016 per “una cena informale” in Sardegna assieme all’allora premier Matteo Renzi, l’occasione fu soltanto uno “scalo tecnico” di ritorno dalla riunione Cop22 sul clima a Marrakech. Ma già in quell’occasione, spiega Pira, il legame Roma-Pechino era stato piuttosto rinsaldato.

La Cina è un gigante in rallentamento: gli ultimi dati economici fanno segnare una crescita in contrazione, con Pechino che soffre per via dello scontro commerciale con gli Stati Uniti, ma anche per problematiche del mercato interno. Il governo cinese crede che la rincorsa tecnologica e il grande progetto commerciale della Nuova Via della Seta (Obor) possano ridare respiro all’economia, con l’Italia che si inserisce in entrambi gli ambiti (più in quello dello scontro con Washington).

Da qui: gli Stati Uniti stanno chiedendo agli alleati di evitare di lavorare con le ditte cinese nell’ambito della tecnologia, in particolare sul sistema di comunicazione 5G. Per Washington il rischio è che l’intelligence cinese possa usare le reti di telecomunicazione per creare porte e accessi negli altri paesi, in una presenza che mescola situazioni come il furto della proprietà intellettuale e lo spionaggio industriale ad azioni di influenza politica.

E qui arriva il secondo tema, Obor arriverà in Italia, Venezia e Trieste saranno le nuove-vecchie porte verso l’Oriente – e questo interessamento ai rapporti bilaterali aveva avuto pubblica manifestazione nella partecipazione dell’ex premier Paolo Gentiloni al vertice sulla cooperazione lungo la Belt and Road Initiative; Gentiloni fu l’unico leader del G7 a essere presente, era maggio 2017.  Gli investimenti cinesi nelle infrastrutture italiane sono un tema delicato e controverso, considerato una grande opportunità, ma anche un rischio – perché Pechino potrebbe chiedere in cambio un allineamento politico, difficile da gestire nell’ambito del rapporto strategico con gli Stati Uniti, che stanno lavorando per creare un fronte compatto anti-Cina.

Secondo chi è informato sui preparativi della visita di Xi, la firma di un memorandum d’intenti per includere i due scali portuali italiani all’interno della macro-iniziativa geopolitica e commerciale cinese è tra i primi obiettivi. Qualcosa di simile (ma forse più operativo) al documento sul Dialogo finanziario firmato dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria, con il suo omologo cinese Liu Kun durante il G20 di Buenos Aires.

Le relazioni tra Italia e Cina sotto il governo gialloverde hanno avuto uno sprint: il vicepremier e bisministro Luigi Di Maio è stato due volte in Cina in pochi mesi di mandato, e il ministero dello Sviluppo economico che coordina ha creato una Task Force apposita per dialogare con la Cina, coordinata dal sottosegretario Michele Geraci, professore d’economia con esperienze decennali in Cina – rispetto a Germania o Francia, “è innegabile che siamo rimasti un po’ indietro nei rapporti commerciali con la Cina. Ma questo implica che il potenziale da sfruttare è molto grande”, ha detto Geraci a Class Xinhua.

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