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“Non basta il greggio per essere ricchi” e il caso venezuelano lo dimostra. Il liberale Nicola Porro, vicedirettore de Il Giornale e conduttore in prima serata su Rete4 del talk Quarta Repubblica, non ci sta a pesare la crisi in Venezuela solo fermandosi alle apparenze. E affida a Formiche.net una lettura della gestione petrolifera (e sociale) nel Paese che parte dalle dittature di stampo comunista, con gli errori macroscopici commessi da Chavez e Maduro nell’aver statalizzato il petrolio.

Quali sono gli impatti economici relativi a oil e gas della crisi politica in Venezuela?

Il petrolio dimostra una cosa straordinaria: che si tratta di una risorsa e una materia prima insufficiente a rendere un Paese ricco. Il che è alla base del principio sano (e capitalistico) di mercato: ovvero, se si ha una grande risorsa bisogna saperla gestire, sfruttare e utilizzare al meglio.

Perché Caracas non ha centrato questo obiettivo?

In primis perché ha avuto questa idea malsana di statalizzare la sua risorsa, rendendola pubblica e quindi fuori dalle leggi del mercato. Uscendo da quel contesto ha avuto la dimostrazione di come il petrolio così non valga proprio nulla, nonostante sia in cima ai bisogni di tutti.

Nel 1954 il Paese rappresentava più della metà dei profitti della Standard Oil Co. del New Jersey, la società che sarebbe poi diventata Exxon Mobil Corp. Oggi come è mutato il cono di interesse?

Le superficialità politiche hanno influito, anche da parte degli Usa non sono mancate: a suo tempo gli americani avevano interesse ad avere il petrolio venezuelano in casa loro anziché rendersi totalmente indipendenti. Però il punto fondamentale è che le ideologie non aiutano a produrre benessere e a far prosperare una nazione come il Venezuela che, sulla carta, potrebbe essere ricchissima. Caracas 40 anni fa era un paradiso rispetto ad oggi.

Da Maduro a Guaidò: come può cambiare anche l’approccio “all’oil and gas”?

Quel che è certo è che queste dittature di stampo comunistico affamano la gente e lo sostengo senza voler ancora entrare nella sfera dei diritti e delle libertà, su cui ovviamente ci sarebbe moltissimo da dire, perché ogni dittatura ha come sua prerogativa l’idea di violarli. Queste dittature di sinistra sono totalmente incapaci di soddisfare i bisogni basici. I regimi di Chavez e Maduro hanno posto una questione fondamentale: che questo Paese nonostante il petrolio non è riuscito a sfamare i suoi 32 milioni di cittadini.

Il Venezuela ha già avvisato otto clienti internazionali che non sarà in grado di soddisfare i propri impegni di greggio: anche Trump ha cambiato strategia su Caracas?

Riuscire ad interpretare la politica estera di Trump è complicato, perché è molto erratico nelle sue scelte come dimostrano i suoi atteggiamenti nei confronti del Medio Oriente. Il Sud America è sempre stato considerato dagli Usa, attraverso la sua dottrina tradizionale, il proprio bacino di influenza. Forse il vero problema della Cuba castrista era quello di essersi incuneato in quel fazzoletto di interessi e influenze a stelle e strisce, su un’isola completamente controllata dai russi. Ma le policies trumpiane sono nella scia delle grandi decisioni storiche americane: non ci dimentichiamo delle intrusioni fatte da Reagan e dai commandi della Cia nei periodi democratici. Semplicemente fa parte della lunga tradizione americana nel cercare di avere la massima influenza in quel bacino. Ma vale per tutti e non solo per il Venezuela.

Ovvero?

Oggi tutti si lamentano che a Caracas c’è stata l’influenza Usa: certo che c’è stata, come in tutta l’area del latinoamerica. E non deriva solo dal fatto che essa detenga molte riserve di greggio, piuttosto dal fatto che gli Usa non vogliono avere alle porte di casa loro un grande problema.

Dal Venezuela statalista, al dito che in Europa molti puntano contro le politiche iperliberiste: dove sta l’errore?

Il gioco è molto semplice e serve smascherarlo una volta per tutte: qui si attribuisce a politiche scellerate l’epiteto di neoliberiste o monetariste. È esattamente il contrario. Le politiche europee che non funzionano non sono certo neoliberiste e non potrebbero esserlo, proprio perché sono sbagliate e portano all’iper burocrazia che vige a Bruxelles. Davvero qualcuno intende definire liberista quell’austerità controllata dagli euroburocrati? Vi sembra che una politica davvero neo liberista possa avere così tanti regolamenti come vediamo in Ue con mille intromissioni dello “Stato centrale” della Commissione? Fra un po’ criticheranno Trump finanche per le politiche liberiste, quando invece ha scelto una strada nettamente non liberale, come dimostrano i dazi.

twitter@FDepalo

 

Venezuela, il petrolio statale è la causa della crisi. L'opinione di Nicola Porro

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