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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sta tentando un’ultima mossa (ma forse tardiva e inutile) per evitare il peggio: l’azzeramento della tassa sui depositi in lire turche. Il problema di fondo è che la decisione non porterebbe quei benefici sperati, che sono invece tutti concentrati sul rimborso dell’ingente debito pubblico estero, che ammonta a quasi un quarto del pil della Turchia.

Ecco che quindi, dopo il fallimento di Turk Telekom, si aprono scenari da brivido non solo per i conti di Ankara, ma per i rischi di destabilizzazione istituzionale del Paese.

MOSSA

Le autorità turche hanno annunciato l’azzeramento della tassa sui depositi in lire turche. In particolare la ritenuta alla fonte sui depositi annui sarà ridotta a zero, dal 10% attuale.

Ridotte anche le imposte sui depositi con scadenza inferiore a un anno. La ritenuta alla fonte sui depositi in valuta estera fino ad un anno, al contrario, sale al 16% dal 15%.

Il problema per Ankara è che queste mosse non sanano il problema che resta intatto: per rimborsare il debito pubblico estero servono 179 miliardi di dollari, ovvero quasi il 25% del Pil del paese e anche se ci fosse una crescita sostenuta (così come il governo ha propagandato) non sarebbe comunque sufficiente.

CASO TURK TELEKOM

La soluzione ai conti non in ordine di Turk Telekom è ufficialmente nelle mani delle banche, dal momento che alla società sono stati prestati fino ad ora 4,7 miliardi di dollari e il fallimento è ormai certificato. Lo dimostra la decisione del ministero delle finanze turco (guidato dal genero di Erdogan) di trasferire la quota di maggioranza di Turk Telekom ad un consorzio di banche creditrici.

Il fallimento ha scatenato il panico nel paese, con molte aziende turche che potrebbero seguire le orme della più grande azienda di telecomunicazioni in Turchia e quindi dover convivere con l’esigenza di raggranellare un maggior quantitativo di lire turche per poter rimborsare i loro prestiti (siano essi in dollari o in euro) e dopo che ieri la svalutazione della lira turca ha raggiunto un altro 4,5%.

Da notare che Turk Telekom non è una realtà come le altre, ma è stata il fiore all’ochiello del fiorente sviluppo economico di Ankara dell’ultimo decennio assieme al settore delle costruzioni.

Turk Telekom è controllata al 55% da Oger Telecom, al 30% dallo stato turco e il restante 15% da investitori privati. Oger Telecom appartiene a Saudi Oger, controllata dalla racoltosa famiglia libanese Hariri.

Alcuni rumors sostengono che i libanesi potessero aver avuto sentore da tempo del trend della lira turca, e così avrebbero deciso per un progressivo disimpegno dopo aver realizzato profitti per dieci anni consecutivi. Lo dimostrerebbe il fatto che la società da tempo ha iniziato a vedere immobili e a ridurre drasticamente il numero dei suoi dipendenti.

PICCOLO GIALLO

Si registra nelle ultime ore anche un piccolo giallo attorno ai conti di Turk Telekom, con alcune voci che vorrebbero smentirne il fallimento, nonostante la decisione di passare tutto nelle mani delle banche creditrici.

Nel 2013 Oger Telecom si era assicurato il 55% delle azioni di Turk Telekom con un prestito da 4,75 miliardi di dollari ma a seguito della mancata restituzione di quel prestito, e dopo due anni di negoziati con i creditori, le banche avevano deciso di appellarsi alla Commissione turca della concorrenza per rilevare le quote delle azioni che erano state garantite. Per cui c’è chi sostiene che non vi sia un legame con il trend negativissimo della lira turca.

Ma Oger Telecom ha preso un prestito nel 2013 attraverso un consorzio di tre banche, e da allora sono stati perse ben tre tranches da 290 milioni di dollari. Solo all’inizio del 2018 sono iniziate le procedure per la possibile vendita della società e la ristrutturazione del prestito. Tra le banche che hanno concesso il prestito vi è Akhbank con 1,5 miliardi, Garanti Bank con 1 miliardo e Ishbank con circa 500 milioni di dollari.

Queste tre banche nel dicembre scorso hanno definito il debito di Oger Telecom come “strettamente monitorato” e a gennaio 2018, dopo i continui rinvii di Oger Telecom, hanno iniziato le procedure che hanno portato all’acquisizione della quote di Turk Telekom.

Ma a confutare questa tesi c’è stata la mossa, risalente al 23 maggio scorso, da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s che avvertiva sulla crescente preoccupazione che, l’indebolimento della lira turca, potesse potenzialmente causare un ulteriore downgrade del rating BB- del debito sovrano della Turchia, sommata alla possibile notifica ufficiale a Turk Telekom sui risultati del piano.

TREND

Spicca nelle stesse ore del fallimento di Turk Telekom la notizia che il vice governatore della banca centrale turca, Erkan Kilimki, sarà destinato ad altro incarico, molto probabilmente nel Cda di un altro colosso di stato ma non in quella banca dove comandano i desiderata di Erdogan (e non gli indici macro economici).

La banca centrale è sotto pressione da parte del presidente affinché non alzi i tassi di interesse nonostante l’inflazione elevata e il deprezzamento della lira turca rispetto al dollaro.

Nel pomeriggio di ieri, proprio quando si rincorrevano le voci sulle (spontanee?) dimissioni di Kilimdzi, la lira è scesa ulteriormente rispetto al dollaro.

In generale, le azioni turche sono calate ieri dello 0,6% e molti analisti che si occupano dei cosiddetti mercati emergenti convergono sul fatto che la Turchia non ha annunciato nuove misure per ripristinare la fiducia degli investitori, a seguito della chiusura fortemente negativa della scorsa settimana.

Anzi, dal governo proseguono sulla strada della fiducia e osservano ripetutamente che le misure attuate finora si riveleranno sufficienti il che è difficilmente spiegabile a quegli investitori che si aspettavano, magari, una reazione meno scomposta accanto ad una politica fiscale più rigorosa.

twitter@FDepalo

 

cipro, Turchia, varna, elicottero turchia, Erdogan

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