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Racconti dal continuo, costante scontro con la stampa della Casa Bianca. Una decina di giorni fa il presidente Donald Trump ha incontrato l’editore proprietario del New York Times, A.G. Sulzberger, giornale da lui definito fallimentare e spesso bersagliato perché pubblica articoli scomodi per la presidenza. Ci sono due versioni su quel che è successo: il presidente dice di aver voluto vedere l’editore per parlare “del grande numero di fake news messo in giro dai media e di come queste fake news siano diventate sinonimo di “nemici del popolo”. Triste!”. Uscita questa, Sulzberger ha poi diffuso un comunicato in cui ha raccontato la sua di campana e spiegato che “il motivo principale per cui ho accettato l’incontro era per esprimere preoccupazioni sulla retorica profondamente anti-giornalisti del presidente. Gli ho detto esplicitamente che ritengo che il suo linguaggio non sia solo divisivo ma sempre più pericoloso. Gli ho detto che nonostante l’espressione fake news sia falsa e dannosa, sono molto più preoccupato del suo definire i giornalisti ‘nemici del popolo’. L’ho avvisato che il suo linguaggio provocatorio contribuisce ad attirare minacce contro i giornalisti e porterà violenza”. Inizialmente i due si erano accordati per tenere riservato il colloquio, poi a quanto pare il presidente non ha resistito e ha attaccato, da lì la difesa dell’altro e una serie di tweet furioso del Prez.

La scorsa settimana, sono arrrivate notizie su giornali sulla decisione della Casa Bianca di non pubblicare più i cosiddetti “readout” delle telefonate del presidente con i leader stranieri: non è chiaro se la sospensione sia temporanea o permanente, ma significa interrompere una prassi storica con cui le amministrazioni, democratiche o repubblicane, elencavano in sintesi i temi che un presidente aveva trattato in un dialogo diretto con un altro leader internazionale.

Questo significa soprattutto che, sebbene i readout non contengono mai breaking news, adesso i media e cittadini americani devono attenersi soltanto alle dichiarazioni degli altri interlocutori per saper quello di cui si è parlato. Di più: in questo modo si perde l’unica via ufficiale con cui il governo americano può far capire il senso che intende dare, o l’interpretazione data, a un contatto diplomatico di massimo livello (prime due conversazioni a finire sotto silenzio: quella con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e un’altra con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu; non proprio due paesi con cui le relazioni sono scontate, prive di problematiche e irrilevanti).

La scorsa settimana Trump ha anche attaccato i giornalisti per la copertura sulle notizie che riguardano l’indagine contro il suo ex avvocato, Michael Cohen (che avrebbe registrato un centinaio di conversazioni compromettenti con Trump), e sulle ultime novità che riguardano il Russiagate.

Il presidente continua a dire che ci sono alcuni media che diffondono fake news create ad arte da una cospirazione dello “stato profondo”, deep state, che vuole detronizzarlo (l’idea piace molto a un buon set dei suoi fan, particolarmente avvezzi al genere complottista), ma la realtà è che ci sono membri del suo staff che fanno da leaker e raccontano indiscrezioni ai giornali. Una situazione da sempre sofferta dall’amministrazione Trump, destinata a non migliorare con l’abolizione dei readout pubblici (ovvio che adesso i giornalisti chiederanno di più alle proprie fonti, ed è possibile che in questo modo, come successo già lo scorso anno con le telefonate furiose ai leader di Messico e Australia pubblicate dal Washington Post, escano maggiori dettagli).

Trump sembra essere tornato esplicitamente sul filone paranoico contro i media che danno di lui una copertura non faziosa — ossia, se si esclude Fox News, che fa praticamente da ufficio stampa e propaganda dell’amministrazione (con cui ha contatti diretti: diversi membri, per esempio, erano opinionisti della rete e il proprietario Rupert Murdoch è tornato amico di Trump), tutti i big, che cercano di dare una copertura terza e tersa sui pro e contro dell’era Trump.

Martedì per esempio, il Nyt ha dato una notizia — vera — che segue questo solco paranoico: Trump si sarebbe infuriato con la First Lady Melania perché stava guardando la CNN (rete considerata nemica) a bordo dell’Air Force One e avrebbe ordinato all’equipaggio di sintonizzare tutti i televisori dell’aereo su Fox News. La bontà della storia l’ha sancita direttamente la portavoce di Melania Trump, che ha precisato che la First Lady continuerà a guardare ciò che vuole in qualsiasi momento.

Sceso dall’aereo a Kansas City, in Missouri, il presidente ha tenuto un discorso nella sede dei Veterans of Foreign Wars in cui ha fatto un passaggio che Esquire ha definito orwelliano: “Rimanete dalla nostra parte. Non credete a tutta la merda che questa gente, i giornalisti fasulli, vi mostrano”.

Il giorno dopo, mercoledì 25 luglio, la Casa Bianca ha revocato un invito per un evento pomeridiano nel Giardino delle Rose alla giornalista della CNN Kaitlan Collins, accusata di aver fatto domande scomode durante la conferenza stampa di quella stessa mattina, tenuta dopo l’incontro di Trump con il presidente della Commissione europea — in realtà le domande di Collins erano piuttosto neutre, ma Trump si è indispettito e per questo ha dato d’istinto ordine ai suoi di tenerla fuori da un altro evento, come già successo con altri giornalisti in passato. Tuoni di protesta da vari fronti, con la White House Correspondents’ Association che invoca il rispetto del Primo emendamento della Costituzione — quello che “garantisce” la “libertà di parola e di stampa”.

 

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