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Russia e Arabia Saudita hanno concordato di estendere la loro partnership petrolifera “a tempo indeterminato”, come ha definito l’accordo con cui di due Stati intendono veicolare le policy sulle produzioni il ministro dell’Energia russo, Alexander Novak.

“Penso che il quadro sia lo stesso (parlando di un accordo già esistente dal 2016, ndr), sarà semplicemente istituzionalizzato e non specificherà volumi particolari, ma molto probabilmente stabilirà la possibilità di prendere decisioni, se necessario”, ha detto Novak alla Tass. Il punto in effetti non è tanto nelle quantità, ma sta proprio nel fatto in sé: il più grande produttore petrolifero al mondo, guida dell’Opec (l’organizzazione che raccoglie altri produttori tra i più importanti) e la Russia, interlocutore esterno che si accordano. È un fatto politico e geopolitico di primissimo livello.

Mosca e Riad sono allineate in questo momento, hanno sentito che il prezzo del greggio stava schizzando troppo in alto (con l’Iran bersagliato dalle sanzioni americane che seguono l’uscita dal Nuke Deal di Washington e il disastroso calo produttivo del Venezuela) e perciò hanno deciso di riaprire i rubinetti dei pozzi e rialzare le produzioni già qualche settimana fa, anche perché ad aprile, davanti alle previsioni su un aumento della domanda, il prezzo del Brent ha toccato per la prima volta dopo anni gli 80 dollari al barile.

Ora l’annuncio di Novak allunga i tempi della collaborazione. Il ministro russo ha anche detto di aver deciso insieme all’omologo saudita, Khalid al Falih, di proporre alzare di 1,5 milioni di barili la produzione già a luglio: ora la proposta dovrà arrivare all’Opec, che si riunirà venerdì 22 a Vienna – là, con ogni probabilità, potrebbe trovare l’opposizione di Iraq e Iran (gli iraniani soprattutto vogliono produzioni basse e prezzi alti per compensare alle perdite che subiranno con le sanzioni americane).

Novak e al Falih fanno da tempo fronte unico, da quando il saudita, con l’aiuto del trono saudita, nel 2016 ha convinto la Russia ad allinearsi con l’Opec (per la prima volta da più di un decennio): in quell’occasione, per congelare una drammatica discesa a picco dei prezzi di petrolio (a inizio 2016 arrivarono sotto i 30 dollari al barile), i paesi produttori decisero di rallentare le estrazioni di 1,8 milioni di barili al giorno – più o meno tanti quanti quelli che adesso Arabia e Russia vogliono aumentare.

Nei giorni scorsi, al Falih ha accompagnato l’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman (MbS), a Mosca: i due hanno incontrato Novak e il suo capo, il presidente Vladimir Putin, e poi seguito allo stadio Luzhniki il match inaugurale dei Mondiali Russia-Arabia Saudita.

In una di quelle storie di cui solo il calcio, e i Mondiali, possono fare da scenario, bin Salman era seduto vicino a Putin, tra spallucce e risatine ammiccanti a ogni gol che i Falconi sauditi subivano. Ne hanno presi cinque dai russi, e la foto di Putin e Gianni Infantino, presidente della Fifa, che fanno il gesto internazionale del “non te la prendere” al saudita è già una di quelle che farà da copertina per la geopolitica del calcio che Russia 2018 lascerà alla storia.

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Poche ore prima, Putin e MbS, insieme ai rispettivi ministri, avevano raggiunto l’accordo sull’unità d’intenti a tempo indeterminato per “un mercato equilibrato sostenuto da un’offerta affidabile e sufficiente” di petrolio, virgolettando le parole che usa lo statement congiunto firmato da Falih e Novak. I due hanno ricordato che si tratta di un accordo storico, molto più importante dell’attuale formato Opec allargato (quello che dialoga con la Russia e altri produttori), che potrebbe aprire verso la formalizzazione dell’Opec+, ossia il sistema che include altri sei produttori attualmente fuori dall’organizzazione (tra questi, ovvio, la Russia). Dettagli e modalità rifinite due giorni dopo, quando Novak era a Riad, da dove insieme al collega hanno dato i numeri da proporre all’Opec.

Dall’Atlantico l’amministrazione Trump è d’accordo con la linea dell’aumento delle produzioni. Lo stesso presidente nelle ultime settimane ha pressato più volte l’Opec per abbassare i prezzi (un tweet del 13 giugno è stato piuttosto diretto, diciamo), ma la posizione presa da Washington, che forse ha smosso i sauditi, potrebbe inasprire la linea iraniana. La Casa Bianca avrebbe voluto che Riad uscisse dal precedente accordo per abbassare le produzioni chiuso con la Russia, in un’iniziativa che avrebbe potuto valere sia come azione anti-russa (una mossa d’isolamento, finita all’opposto dell’auspicato), sia come ragionamento in termini politico-elettorali: è  in piena campagna per le Midterms e teme che l’aumento dei prezzi possa appesantire gli elettori trumpiani.

(Foto: Kremlin.ru)

Russia e Arabia Sauditia siglano una collaborazione sul petrolio a tempo indeterminato

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