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Ci risiamo. La Germania, che più di ogni altro Paese europeo sostiene, con forza e in ogni frangente, misure stringenti sul capitale delle banche, ottiene l’esenzione per gli istituti di credito del proprio Paese da quelle stesse norme sulle quali, al contrario, pretende una rigida applicazione senza sconti o eccezione alcuna – solo se però si tratta di banche di altri Paesi. Il meccanismo è identico a quello che accade per le politiche economiche dei Paesi dell’Unione con la Germania che richiede austerità e rigidità su deficit e debito pubblico, che nega la possibilità di qualsiasi politica economica di tipo espansiva, salvo poi, per se stessa, ottenere deroghe, esoneri o procedere direttamente a strappi e violazioni senza per questo dover rendere conto ad alcuno. Due pesi e due misure.

In questi giorni, mentre l’Italia è alle prese con una lunga e difficile crisi politico-istituzionale, l’Unione bancaria fa, almeno apparentemente, un passo avanti. Dopo mesi caratterizzati dal blocco dei negoziati, i ministri dell’Ecofin, spinti proprio dalla determinazione di Berlino e malgrado la tiepida opposizione dell’Italia – che non ha saputo andare oltre l’astensione – hanno approvato un ulteriore pacchetto di regole sulla riduzione dei rischi bancari con l’apparente finalità di preservare il denaro pubblico evitando il rischio di spenderlo per salvare gli istituti in crisi. Le nuove norme prevedono l’aumento dei requisiti di capitale che gli istituti di credito dell’Unione dovranno possedere per far fronte a eventuali perdite ed evitare, così, pericoli per la tenuta del sistema finanziario. I nuovi requisiti di capitale non si applicheranno, però, a 13 Landesförderbanken, banche di sviluppo regionale tedesche e a una seconda banca di sviluppo nazionale oltre alla Kreditanstalt für Wiederaufbau (Kfw), cioè il corrispettivo della Cassa depositi e prestiti italiana.

Se il vero obiettivo è quello della stabilità del sistema, non sarebbe più efficace lavorare in maniera collegiale a un sistema, sia relativamente alle regole che alla capitalizzazione del sistema bancario, che faccia della proporzionalità il suo caposaldo invece che procedere con deroghe ed eccezioni? Quello che serve è un principio di proporzionalità che tenga conto della diversità reale degli intermediari. Requisiti patrimoniali, come regole e vincoli, dovrebbero opportunamente essere declinati in funzione del livello di rischio che lo specifico modello di business può sviluppare nel pregiudicare la stabilità del sistema in cui operano. L’idea di regole e vincoli uguali per tutti, solo apparentemente è un elemento di eguaglianza, ma di fatto realizza una continua richiesta di deroghe ed eccezioni che, per loro natura, sono arbitrarie e suscettibili di generare il sospetto di mascherare altri interessi e poteri. Disattendere la proporzionalità apre la strada all’incertezza nella definizione e nella valutazione del diverso “rischio sistemico”. L’obiettivo dovrebbe essere quello di tenere conto, in maniera sistematica e non eccezionale, delle specificità giuridiche, operative e organizzative degli intermediari, ponendo nella corretta considerazione il pluralismo delle forme di impresa, che rappresenta un valore di democrazia economica e una risorsa per gli stessi mercati finanziari e creditizi.

La rigidità in generale – e quella della Germania in particolare solo nei confronti degli altri – è oggi, sempre di più, il principale nemico dell’Europa e sta diventando il maggiore alleato di chi vuole un ritorno al passato. Porre con forza il tema di un diverso modello di Europa unita non può più essere considerato un tabù ma l’estremo tentativo di salvarla da se stessa e dalle oligarchie finanziarie che la tengono in ostaggio.

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