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Il conflitto yemenita è tornato agli onori della cronaca alla fine dello scorso anno quando le forze di Ansarallah, meglio conosciute come Houthi, hanno iniziato a lanciare una sistematica serie di attacchi missilistici contro le navi in transito nel mar Rosso e nell’oceano Indiano, ufficialmente in risposta alle violenze commesse da Israele a Gaza dopo i tragici fatti del 7 ottobre.

La crisi yemenita, tuttavia, ha radici ben più profonde e articolate, che risalgono al conflitto civile emerso nel 2011 e che ha portato allo scontro tra le forze ribelli di Ansarallah nel nord e quelle del governo internazionalmente riconosciuto del sud ad Aden, poi sostenuto dalla coalizione militare a guida saudita nel corso di una lunga guerra.

A dispetto dell’ingente sforzo militare dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati regionali, l’intenzione di sconfiggere gli Houthi risultò vana, provocando evidenti divergenze tra gli stessi sauditi e gli Emirati Arabi Uniti, con l’avvio di un complesso tentativo di negoziato costruito tuttavia su presupposti molto diversi tra loro.

Mentre l’Arabia Saudita insiste per una formula negoziale che salvaguardi l’unità dello stato yemenita, infatti, gli Emirati Arabi Uniti non fanno mistero di voler sostenere le istanze del Consiglio di transizione meridionale, che auspica una partizione del Paese in due distinte entità, di fatto riconoscendo l’autonomia politica e territoriale degli Houthi a nord.

A partire dall’aprile del 2022 una tregua mediata grazie all’intervento delle Nazioni Unite è riuscita a far cessare le ostilità nel Paese, permettendo l’afflusso dei necessari aiuti umanitari e determinando le condizioni per un negoziato di pace tra le forze belligeranti, con la partecipazione dell’Arabia Saudita.

La tregua è stata più volte rinnovata, dimostrando la volontà dei diversi attori yemeniti di voler individuare un percorso negoziale per risolvere il conflitto. Il negoziato è tuttavia andato a rilento ed è stato più volte minacciato dall’emergere di nuovi fattori di tensione, in particolar modo quelli derivanti dall’attacco di Hamas contro Israele lo scorso 7 ottobre 2023 e dal successivo intervento militare di Tel Aviv nella Striscia di Gaza.

Gli Houthi yemeniti hanno iniziato a lanciare sistematici attacchi contro le navi in transito nell’area del mar Rosso e dell’oceano Indiano con il pretesto di voler sostenere la causa palestinese, determinando una grave crisi regionale dagli effetti globali.

Le ragioni che hanno spinto gli Houthi all’azione, tuttavia, più che nel sostegno ai palestinesi devono essere ricercate nella volontà di aumentare la propria capacità negoziale nei futuri accordi di pace nazionali, nell’intento di porsi quali attori ineludibili del futuro assetto politico nazionale e, non ultimo, per placare un diffuso malcontento sociale nel nord del Paese.

Qui la frustrazione della società è divenuta evidente dopo la fine delle ostilità perché il governo di Ansarallah non ha fatto progressi nel ripristinare il funzionamento dell’economia e le infrastrutture essenziali.

A dispetto della vasta portata globale della crisi innescata dagli Houthi con gli attacchi ai transiti marittimi, la volontà di portare avanti la preparazione dei colloqui di pace non è venuta meno, così come l’impegno dell’Onu e della comunità internazionale, che hanno più volte cercato di separare la dimensione della minaccia nel mar Rosso dalla questione negoziale.

Anche l’Arabia Saudita ha adottato un approccio più cauto nei confronti degli Houthi, rifiutandosi di partecipare alle missioni navali istituite dagli Usa e dall’Unione europea per proteggere il traffico mercantile e insistendo al tempo stesso per predisporre colloqui intra-yemeniti.

Colloqui che, tuttavia, sono ancora in fase di definizione e caratterizzati da numerose e diverse agende contrastanti, dove l’Arabia Saudita cerca di sollecitare discretamente attraverso l’Oman la definizione di alcuni elementi condivisi così da accelerare il processo, negoziare e dichiarare definitivamente chiusa la disastrosa parentesi del proprio intervento nel conflitto locale.

Nel giugno 2024 i rappresentanti del governo internazionalmente riconosciuto di Aden e degli Houthi si sono incontrati a Muscat, in Oman, per discutere i dettagli di un nuovo scambio di prigionieri e per favorire il regolare accesso degli aiuti umanitari verso nord.

Un incontro fruttuoso che è tuttavia ancora molto lontano dalle aspettative degli Houthi, i quali cercano visibilmente di avviare un più ampio negoziato di pace da una posizione di forza, per ottenere dall’Arabia Saudita e dalla comunità internazionale la revoca delle sanzioni che li colpiscono, la ricostruzione delle infrastrutture distrutte nel corso del conflitto e, soprattutto, il riconoscimento del proprio ruolo nel futuro assetto istituzionale del Paese.

Analisi pubblicata nell’ultimo numero della Rivista Formiche 205

Cosa spinge gli Houthi a destabilizzare il Mar Rosso. L'analisi di Pedde

Le ragioni che hanno spinto gli Houthi all’azione, più che nel sostegno ai palestinesi devono essere ricercate nella volontà di aumentare la propria capacità negoziale nei futuri accordi di pace nazionali. L’analisi di Nicola Pedde, direttore dell’Institute for global studies

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