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Il pericolo di campagne di disinformazione volte a influenzare l’opinione pubblica italiana è noto da tempo alla nostra intelligence, che lo ha posto nero su bianco nell’ultima Relazione annuale al Parlamento.

IL TEMA DELLE INTERFERENZE

Il tema delle interferenze è tornato al centro del dibattito nazionale dopo le rivelazioni del sito americano FiveThirtyEight, che ha pubblicato nove giganteschi file excel che mostrano come l’Internet Research Agency di San Pietroburgo, attraverso una rete di troll su Twitter, potrebbe essersi concentrata in modo sistematico anche sul nostro Paese. Senza contare i profili di Twitter che nel giorno del “no” del Colle a Paolo Savona all’Economia hanno iniziato improvvisamente ad attivarsi in Rete con l’hashtag #MattarellaDimettiti. Questi dati sono al momento al vaglio degli esperti e delle autorità, oltre a stare agitando le acque già movimentate del dibattito politico. Giovedì scorso Formiche.net aveva anticipato l’alta probabilità che la questione potesse essere tirata fuori durante la prima audizione al nuovo Copasir del direttore del Dis Alessandro Pansa, in programma lunedì prossimo. Da allora questa eventualità è diventata una certezza.

GLI ALLARMI

L’allarme era stato sollevato anteriormente le elezioni politiche di marzo scorso. Ad esempio, a dicembre del 2017, era stato il New York Times a occuparsi delle fake news made in Italy. In un pezzo firmato da Jason Horowitz, corrispondente per l’Italia e il Vaticano, il quotidiano newyorkese rilanciava una ricerca di Andrea Stroppa, giovanissimo esperto italiano di cyber security già collaboratore di Marco Carrai, manager e imprenditore vicino all’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi. Proprio per l’esponente politico toscano, stando a quanto scrisse la testata della Grande Mela, Stroppa avrebbe lavorato al suo studio, che avrebbe dimostrato “che la pagina ufficiale di promozione per Matteo Salvini, leader del partito di destra la Lega, condivide gli stessi codici google (Adsense, ndr) con una pagina di propaganda e fan del Movimento 5 Stelle”.

Sotto i riflettori finirono anche Facebook e i filtri applicati dal colosso di Menlo Park alle informazioni che appaiono sulla sua newsfeed, la sezione delle notizie, capaci, se orientati da annunci a pagamento, a influire sul comportamento elettorale. Questo aspetto ha avuto grande risalto negli Usa, dopo che la piattaforma fondata da Mark Zuckerberg è finita nella bufera per il caso Cambridge Analytica che ha esposto milioni di utenti americani a contenuti “sponsorizzati” dal Cremlino. Ma anche in Italia se ne è discusso in studi specifici, come quello realizzato da tre docenti universitari, Paolo Bolzern, Patrizio Colaneri (entrambi del Polimi) e Giuseppe De Nicolao (dell’Università di Pavia). Questo e altro avevano portato i nostri servizi segreti ad approfondire la questione, che però non aveva portato alla luce evidenze importanti.

CHE COSA HA SCRITTO L’INTELLIGENCE

Come evidenziato in precedenza, la nostra intelligence aveva già svolto degli approfondimenti sul tema ed è plausibile pensare che ne stia svolgendo altri in questo momento. Il pericolo di interferenze, d’altronde, non era mai stato escluso del tutto e lo si evince dall’ultima relazione annuale dei servizi segreti al Parlamento, diffusa a febbraio.

Nel testo si mette in luce che uno dei filoni di interesse dell’attività dei nostri 007 è proprio quello connesso con le cosiddette ingerenze, “che si traduce in campagne di influenza che, prendendo avvio con la diffusione online di informazioni trafugate mediante attacchi cyber, mirano a condizionare l’orientamento ed il sentiment delle opinioni pubbliche, specie quando quest’ultime sono chiamate alle urne”. In particolare, si rimarcava, “tali campagne hanno dimostrato di saper sfruttare, con l’impiego di tecniche sofisticate e di ingenti risorse finanziarie, sia gli attributi fondanti delle democrazie liberali (dalle libertà civili agli strumenti tecnologici più avanzati), sia le divisioni politiche, economiche e sociali dei contesti d’interesse, con l’obiettivo di introdurre, all’interno degli stessi, elementi di destabilizzazione e di minarne la coesione”.

LA PUNTA DI UN ICEBERG?

Tuttavia cresce il timore che quanto appreso sino ad ora possa essere solo la punta dell’iceberg. “Se dovessimo basarci sui primi dati riscontrati da FiveThirtyEight”, commenta a Formiche.net il giornalista, docente e saggista Arturo Di Corinto, “potremmo pensare che si tratti di poca roba. Queste attività di influenza potrebbero però avere dimensioni ben più ampie. Che vadano avanti da tempo, da anni forse, è cosa nota. Così come è chiaro che ci sono realtà, come la Internet Research Agency, che hanno questa mission”. Per l’esperto di cyber security “ormai fare disinformazione è quasi alla portata di tutti. Nel dark web si possono acquistare chatbot a 200 dollari e tool che traducono i messaggi in più lingue contemporaneamente e che diverranno ancora più pericolosi con l’innesto di intelligenza artificiale”. Piuttosto, evidenzia ancora, “sarebbe utile comprendere che la propaganda che funziona è quella non evidente, quasi invisibile. Sta emergendo giorno dopo giorno una strategia preordinata di diffondere messaggi, poi rilanciati da molti utenti in modo consapevole o inconsapevole, su temi divisivi come l’immigrazione o la crisi economica”. Con quali effetti? “Condizionare l’agenda mediatica mainstream che contribuisce, in ultima istanza, a formare l’opinione pubblica”.

democrazia, digitale, colajanni, disinformazione

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