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Dopo aver suscitato enorme clamore, è misteriosamente sparito dal web il testo “dell’accordo di cooperazione e collaborazione” siglato, nel marzo 2017, tra Lega e Russia Unita.

In calce compaiono le firme di Matteo Salvini e Serghei Zheleznyak, quarantottenne vicesegretario del Consiglio generale del partito di Vladimir Putin, membro della Commissione Affari internazionali della Duma di Stato, già inserito da Stati uniti e Unione europea nelle blacklist di funzionari russi coinvolti nell’annessione della Crimea.

Zheleznyak è lo stesso che, interpellato sull’interessamento speciale del suo partito verso Lega e M5S, risponde candidamente: “Con loro c’è una sostanziale sintonia di vedute”, alla faccia della sincerità. In rete è impossibile reperire il dispositivo di questo singolare patto tra due partiti di due Paesi diversi che “si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco”.

Scambi di delegazioni, convegni, tavole rotonde e seminari bilaterali, ogni impresa è utile per sviluppare una “cooperazione reciprocamente vantaggiosa”, anche nei settori dell’economia, del commercio e degli investimenti tra i due Paesi. Viene allora da domandarsi perché questo testo sia stato sottratto alla conoscenza dei cittadini e degli stessi elettori della Lega, così come appare lecito interrogarsi sul perché l’Ue, che l’Italia ha contribuito a fondare, rappresenterebbe l’arcinemico mentre un tale accordo con un partito di governo straniero sarebbe un mirabile tributo alla sovranità nazionale.

Che l’orizzonte salviniano non sia “atlantista” è arcinoto, e non da oggi. La reazione del leader all’ipotesi di un intervento militare in Siria (“Le armi chimiche di Assad? Fake news”) ne è stata l’ennesima conferma. C’è però un quid pluris che vale la pena rimarcare. Salvini ha annoverato, tra i suoi “modelli”, Trump e il primo ministro ungherese Orban. Quando, all’uscita dall’ennesimo giro di consultazioni, davanti alle telecamere il leader leghista ha menzionato il “venti percento di italiani che fanno uso di psicofarmaci”, in pochi hanno notato che il massiccio ricorso a farmaci antidepressivi è stato un motivo ricorrente nella campagna elettorale di The Donald.

Viviamo in una società iperconnessa che ha accorciato le distanze spazio-temporali allargando, a dismisura, quelle umane. Le persone si sentono sempre più sole, da qui il desiderio crescente di chiusura, di ripiegamento su se stessi, nella riscoperta di una dimensione tribale che privilegia le relazioni di prossimità, non le grandi unioni di Stati. Salvini scopiazza lo spartito trumpiano sperando che gli porti fortuna, peccato che Trump non se lo fili granché. Ci ha provato a più riprese, lui: gli ambasciatori padani hanno tentato invano di organizzare un incontro ufficiale, un gesto, un appiglio per postare sui social network la foto del fatidico abboccamento. Quando nella primavera del 2016, in un fortuito accostamento a Philadelphia, Salvini twitta in estasi “Ho incontrato Trump”, l’attuale Presidente degli Stati Uniti lo smentisce a muso duro: “Non conosco né ho incontrato Salvini”. Somiglia alla storia dei titoli di studio di Giuseppe Conte, l’incaricato a vita.

E c’è un motivo se a inseguire Salvini a Roma sia rimasto Steve Bannon, l’ex consigliere licenziato e allontanato dallo stesso Trump tra gli sberleffi dei media Usa. Il leader populista Trump si tiene alla larga dal leader populista Matteo Salvini, più bravo di Marine Le Pen, più promettente di Geert Wilders. Ma Salvini è già blandito e coccolato e vezzeggiato da un altro uomo forte, Putin. Insomma, è già il satellite di qualcun altro, per giunta dell’avversario giurato. Se il segretario del Carroccio conquistasse Palazzo Chigi, il quadro muterebbe imponendo di fare i conti con il premier italiano, ma fino a quel dì, e ammesso che mai accada, la diplomazia dei generali a stelle e strisce ordina prudente distanza. Salvini ha scelto il suo abbraccio che ha il sapore della vodka. Chissà se gli porterà fortuna.

Matteo Salvini non vuole fare l'americano. Preferisce la vodka (russa)

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