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La delicata vicenda dell’hardware cinese inserito a fini di spionaggio nelle apparecchiature informatiche di grandi compagnie americane arriva al Congresso. Che chiede chiarimenti.

LE DOMANDE A SUPERMICRO

Una serie di domande a firma dei senatori repubblicani Richard Blumenthal e Marco Rubio cerca di ottenere informazioni sulle possibili intrusioni tecnologiche di Pechino. Attraverso una serie di domande rivolte all’azienda americana ma di proprietà cinese Supermicro, i parlamentari cercano di acquisire maggiori elementi. Riguardo che cosa? Innanzitutto sul se e sul come sia stato possibile – almeno secondo l’inchiesta condotta in più puntate da Bloomberg – che l’intelligence del gigante asiatico possa aver spiato 30 grandi aziende statunitensi, tra cui Amazon ed Apple (che però negano), attraverso un chip, grande circa come un chicco di riso, inserito nei grandi server costruiti in Cina e poi esportati negli Usa.

L’INCHIESTA DI BLOOMBERG

I quesiti rivolti a Supermicro, che ha tempo fino al 17 ottobre per rispondere, sono ben otto. “Siamo allarmati per i pericoli posti dalle backdoor”, scrivono Blumenthal e Rubio, “e prendiamo seriamente qualsiasi minaccia perpetrata contro le reti e la supply chain della nazione. Queste nuove accuse richiedono risposte approfondite e indagini urgenti per i clienti, le forze dell’ordine e il Congresso”.
Per questo, nonostante le smentite dell’azienda, le chiedono per iscritto se fosse mai stata al corrente di tentativi di manomissione (che potrebbero essere anche avvenuti a sua insaputa attraverso piccoli subfornitori) e quando è venuta a conoscenza dei rapporti riguardanti componenti hardware e firmware dannosi nei suoi computer. Le domande si soffermano poi sulle procedure di controllo e sicurezza della supply chain di Supermicro, sulle indagini interne condotte, sulla velocità con la quale i prodotti compromessi siano stati eventualmente tolti dal commercio, sulla collaborazione con le autorità americane, ma soprattutto sulla richiesta esplicite del governo cinese di ottenere dalla stessa azienda informazioni riservate o di altro genere.

LO SCENARIO

Le richieste del Senato arrivano in un momento di grande tensioni tra Washington e Pechino dal punto vista commerciale, ma anche della sicurezza nazionale. Sono diversi gli elementi che agitano le acque. Il Dipartimento del Tesoro ha annunciato un aumento dei poteri del Cfius, la commissione che vigila sugli investimenti esteri, considerati dagli Usa il “cavallo di Troia” per entrare in possesso del pregiato know how di molte aziende americane. Proprio il presidente americano Donald Trump – che ha accusato la Repubblica Popolare di voler influenzare le prossime elezioni di midterm – ha fermato molti accordi tra imprese tecnologiche statunitensi e cinesi dall’inizio del suo mandato (bandendone alcune dalla partecipazione a gare pubbliche), ritenendole pericolose per gli Stati Uniti. Inoltre, l’intelligence Usa, non ha mancato di sottolineare in diversi report, anche pubblici, il presunto attivismo informatico di Pechino a fini di cyber spionaggio. Infine, nelle scorse ore, per la prima volta, un funzionario dei servizi segreti cinesi è stato portato negli Stati Uniti per essere processato in Tribunale. Un vero salto di “qualità” senza precedenti nell’escalation degli attriti tra le due potenze, che sono destinati ad acuirsi ancora per molto.

sicurezza, cyber, Cina

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