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Il governo giallo-verde sembra ormai prendere forma, smentendo pronostici di elezioni ravvicinate che solo lunedì scorso apparivano assai realistici, a riprova del fatto che in politica tutto può cambiare in un minuto.

Ad ogni modo va subito detto che questa soluzione ha senso ed è quanto di meglio possa esprimere questo Parlamento (con buona pace di Marco Travaglio, che oggi scaglia il suo giornale contro l’intesa Salvini-Di Maio), poiché si fonda sull’accordo tra i due vincitori delle elezioni del 4 marzo. Insomma siamo alla più coerente interpretazione di equilibri parlamentari frutto di legge proporzionale: dopo il voto ci si deve mettere d’accordo anche tra avversari.

Ci hanno messo troppo tempo? Forse si, ma conta il risultato.

Stanno snaturando i programmi e gli annunci con cui si sono presentati agli italiani? Lo vedremo, ma rimane il fatto che accedere ad una logica di mediazione e compromesso è necessario se si vuole davvero governare negli interessi dei cittadini, che, come è noto, non la pensano tutti allo stesso modo.

Quanto al premier va detto innanzitutto che l’atteggiamento di Salvini e Di Maio di sano realismo è particolarmente apprezzabile nella scelta di rinunciarvi contemporaneamente: significa che da parte loro c’è la volontà di cercare un equilibrio “serio”.

Però qui occorre essere chiari: non facciano l’errore di scegliere una figura intermedia di tipo “tecnico”: finirebbero per pentirsene nel giro di pochi mesi. Si vada dunque ad un premier “politico” espressione di una delle due forze, con robusta compensazione per l’altra sotto forma di ministeri di peso.

Ciò è ancor più vero se si tiene conto degli aspetti internazionali, che proprio oggi vedono scendere in campo il nostro Presidente della Repubblica ed anche il suo omologo francese. Ebbene se da un lato Mattarella ammonisce contro la logica “sovranista” (ogni riferimento a Salvini è certamente voluto) definendola “seducente ma inattuabile”, Macron mette in guardia dalle tentazioni del nazionalismo, indicando come campanelli d’allarme la Brexit, le elezioni italiane con quelle ungheresi e polacche. Un vero e proprio fuoco di sbarramento, che mette in chiaro quale sarà l’accoglienza internazionale all’eventuale governo giallo-verde.

Su questo punto non c’è da scherzare, per un Paese dall’immenso debito pubblico che dovrà fare i conti con la fine del Quantitative Easing all’inizio del nuovo anno, quando Mario Draghi lascerà la Bce.

Allora eccoci arrivare al rebus che Salvini e Di Maio dovranno risolvere nelle prossime ore. A Palazzo Chigi serve una figura credibile dentro e fuori i confini nazionali ed al tempo stesso tale da non diventare rapidamente indigesta ai due azionisti di riferimento. Ecco perché manca ancora un tassello all’accordo, ma è quello più importante.

Salvini e Di Maio scelgano un premier “politico” ma credibile (anche all’estero)

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