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L’Iliade inizia con l’ira di Achille contro Agamennone che gli ha sottratto Briseide. Omero, come sappiamo, la definisce funesta, perché il ritiro dalla guerra di Troia del più forte guerriero greco aveva causato varie perdite all’esercito degli Achei, fino al punto di far quasi pendere la vittoria finale dalla parte dei Troiani. L’immagine di Achille nella tenda mentre infuria la guerra mi ha fatto pensare all’atteggiamento del Pd dopo il 4 marzo. Come se il risultato delle elezioni fosse stato uno sgarbo da parte degli elettori nei confronti di un partito che aveva governato bene in questi ultimi 5 anni senza essere però premiato. Di lì, una serie di interpretazioni e scelte molto discutibili: dal curioso argomento che in fondo era colpa di chi non aveva permesso di andare a votare nella primavera del 2017 (Mattarella e Gentiloni), fino al definitivo ‘mai al governo, mai con i cinquestelle’. Chi ha voluto questa legge elettorale, nei fatti proporzionale, aveva lo scopo di mettere al centro di qualsiasi formazione di un futuro governo il Pd. Chi ha voluto questa legge, però, ha fatto male i conti. Possibile che a nessuno fosse venuto in mente che le forze antisistema, insieme, avrebbero potuto prendere oltre il 50%, nonostante ci fossero tutte le avvisaglie e molti voci preconizzassero questa eventualità? Già questo basterebbe per segnalare il fallimento di un gruppo dirigente, ma vista la situazione complessa nel Paese, sarebbe davvero da irresponsabili non rimandare le conte interne di uno dei perni del sistema istituzionale italiano a quando le acque saranno più calme.

Ho l’impressione invece che ci sia una tendenza diffusa nel Pd a rifuggire la responsabilità che essere il Pd comporta, e a voler sequestrare il senso profondo del fare politica, che significa sicuramente non svendere le proprie priorità ma allo stesso tempo non fuggire dal confronto e dal dialogo. Allo stato attuale, saltata l’ipotesi di un governo giallo-verde tra Lega e M5S, la possibilità di un governo dipende da tre solo ipotesi: una coalizione Pd-M5S, una coalizione Pd-Cdx, il governissimo Pd-M5S-Cdx (sinceramente mi pare improbabilissimo). Se queste ipotesi saltano, si ritorna alle urne, dove sono abbastanza certo che il bipolarismo muscolare M5S vs Lega Italia renderà ancora più residuale la presenza parlamentare del Pd. Non entro nel merito delle scelte che spettano ai gruppi dirigenti del Pd, ma negare la realtà delle cose è pre-politico. Lo è anche fomentare le contrapposte tifoserie su un tema complesso, come quello di costruire una coalizione con gli avversari delle elezioni, mentre c’è bisogno di tempo, di calma e freddezza e di smaltire le scorie della campagna elettorale. Sarebbe bene conservare le sirene, gli allarmi, gli slogan incendiari, gli assoluti per un’altra stagione.

Achille deve abbandonare la tenda, deve tornare alla guerra di Troia, deve tornare a fare politica, perché l’impresa generale è più importante della rabbia derivante dalle legittime motivazioni e aspirazioni dei singoli. Qualcuno mi dirà che Achille muore sulla spiaggia di Troia, e che quindi il sacrificio del Pd potrebbe significare la fine del Pd. Questo rischio è palese, ma lo è dal 4 dicembre 2016, quando nei fatti il sistema più o meno maggioritario della seconda Repubblica è stato mandato in soffitta. Quel giorno il partito che è stato fondato sulla vocazione maggioritaria ha perso il suo core business, direbbero quelli bravi.

Nei poemi omerici Achille muore, ma gli sopravvive Odisseo, che è più importante di lui, perché grazie al suo multiforme ingegno e al suo stratagemma Troia è conquistata e la guerra finisce, permettendo ai guerrieri greci il ritorno a casa. Infatti Penelope è a casa minacciata dai Proci, Penelope aspetta la fine di una guerra che non capisce, mentre la sua casa è usurpata. A pensarci bene, Penelope sembra il nostro Paese, che aspetta la fine di un conflitto che non comprende mentre chiede soltanto che qualcuno torni a occuparsi degli interessi di tutti. Questa cosa si chiama politica.

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