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Prendo spunto dall’ultimo libro del filosofo Roberto Esposito, “Politica e negazione. Per una filosofia affermativa” (Einaudi 2018), per sottolineare il bisogno e l’urgenza – particolarmente in Italia e in politica – di avviare una “cultura strategica del progetto”.

Complice una legge elettorale dai più criticata, il grave problema di quel mondo che chiamiamo “politica”, che ci ostiniamo a separare dalla “società civile” (ma esiste ?), è l’idea di detenere il monopolio della politicità, del senso politico, dell’interesse generale.  Negli anni recenti, la cosiddetta “casta” (termine giornalistico diventato di uso comune) ha fatto di tutto per svuotare di senso il Parlamento (eppure siamo ancora una Repubblica parlamentare …) e, con esso, la dignità e l’impianto della nostra democrazia rappresentativa.

Si sono esaltate le posizioni di parte fino al punto di negare che esse fossero parti-di-un-tutto. Tutti hanno “sposato” il leaderismo, di fatto facendo implodere le “comunità politiche” e recidendo il legame con il cosiddetto “popolo sovrano”. Quest’ultimo, il 4 marzo scorso, ha dato un segnale chiaro, anche se non decisivo in termini di maggioranze possibili, e la risposta è stata, tra balletti, insulti, ritorni e riallontanamenti, il teatrino a cui stiamo assistendo da troppi giorni.

Che si faccia un governo è il primo passo necessario. Poi, però, non dobbiamo mollare la presa e ciascuno di noi ha la responsabilità di porre in chiaro i termini di prospettive affermative, senza perdere ulteriore tempo. Il fossato tra la politica e la percezione che se ne ha è troppo profondo e occorreranno tempi lunghi per ritornare a una situazione di vita democratica degna di questo nome; in aggiunta a ciò, quello che capita al di là dei nostri confini (siamo ancora ostaggi della separazione tra politica interna e politica estera …) pesa in maniera decisiva sul nostro destino nazionale. Dobbiamo ritornare a essere capaci di esercitare un ruolo globale, e certamente non è facile; la nostra posizione geografica, la storia ce lo insegna, ci pone al centro di molte dinamiche. I processi storici globali chiedono un’ Italia capace di progettare e ciò è possibile nella profonda interrelazione fra cittadini coesi nel (naturale) conflitto tra identità e differenze (dunque capaci di “fare comunità” nelle mediazioni di una vita fattasi globale) e classi dirigenti visionarie che incarnino la strategia del progetto.

 

Progettare è affermativo

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