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Dal contrasto al terrorismo alla missione in Niger, dall’impegno in Afghanistan alla difesa comune europea. Sono tanti i dossier aperti per le Forze armate italiane, in una proiezione che coinvolge circa 6.200 militari in 33 diverse missioni all’estero. A spiegarne strategie e priorità è stato oggi il capo di Stato maggiore della Difesa, Claudio Graziano, intervenuto a Roma al forum organizzato dall’Ansa e dal Centro studi internazionali (Cesi) dal titolo “Il contributo della Difesa italiana alla sicurezza internazionale tra impegni operativi e investimenti per il futuro”. Alla tavola rotonda, moderata dal vice direttore dell’Ansa Stefano Polli, ha preso parte anche il presidente del Cesi Andrea Margelletti.

LA MISSIONE IN NIGER

Tra le tante missioni condotte dai nostri militari al di fuori dei confini nazionali, quella in Niger continua a far discutere. Nonostante gli accordi con Niamey, alcune settimane fa il dietrofront del ministro dell’Interno nigerino Mohamed Bazoum è stato una doccia fredda per l’Italia. Forte dell’accordo con le autorità competenti però, la missione italiana procede e “il personale per preparare la base in Niger è già in loco”, ha assicurato Graziano. “La missione si svilupperò man mano che avanzano gli accordi con le autorità locali. C’è una richiesta del governo nigerino e noi opereremo in accordo con le autorità locali, ma non cambierà la dimensione del nostro impegno”, ha aggiunto il capo di Stato maggiore. “Il tetto massimo per i nostri militari è di 470 unità (con 130 mezzi terrestri e 2 aerei, ndr)”, di cui 120 da schierare “entro giugno”. Però, ha rimarcato il generale, “bisognerà vedere le esigenze che si svilupperanno in loco”.

DALLA LIBIA AL LIBANO

Intanto, tra gli scenari più delicati, “la Libia è una priorità. È un nostro partner privilegiato e nella proiezione futura penso che il nostro impegno lì, in coordinamento con le autorità locali, verrà mantenuto nel tempo per un periodo piuttosto lungo”. Ad ora, l’impegno italiano riguarda una nave officina a Tripoli, dove viene svolto anche l’addestramento della Guardia costiera libica, e l’ospedale da campo a Misurata. La missione bilaterale di assistenza e supporto approvata allo scadere della legislatura prevede un numero massimo di unità dispiegabili pari a 400, a cui si aggiungono 130 mezzi terrestri e le unità aeree e navali di Mare sicuro già autorizzate. La finalità della missione è supportare le Forze di sicurezza e le istituzioni libiche, ereditando proprio i compiti dell’Operazione Ippocrate e della missione in Supporto alla Guardia Costiera.

Meno esposta ai riflettori ma non per questo meno importante è la missione in Libano, per cui “c’è un grande riconoscimento per il ruolo svolto dall’Italia sia dal punto di vista militare, sia del sostegno al Paese”, ha detto il generale ricordando il contributo dei nostri militari alla missione Unifil, pari a oltre 1.100 unità (seconda missione dopo Prima Parthica in Iraq, che conta 1.200 unità). “La situazione al momento nel sud del Paese è militarmente sotto controllo; eppure resta un’area ad alta pericolosità e a rischio tensioni”. Anche per questo, ha rimarcato Graziano, “è necessaria una grande attenzione internazionale al Libano, esempio virtuoso di Paese multiconfessionale e dove le Forze armate rispondono allo Stato”.

L’IMPEGNO IN AFGHANISTAN

Sulle missioni internazionali l’Italia sta ri-orientando la propria proiezione, con un’attenzione maggiore allo scenario del Sahel e del nord Africa anche grazie all’annunciata riduzione dei contingenti in Afghanistan e Iraq. Tuttavia non è detto che questa si verificherà in tempi brevi. “L’Afghanistan resta una missione importate”, ha detto Graziano. Il Paese “era un’area di crisi trenta e vent’anni fa; lo era anche 100 anni fa e verosimilmente è un’area su cui il mondo deve tenere un’attenzione costante”. Grazie all’impegno internazionale e all’apprezzato contributo italiano, “qualcosa è cambiato: se cammini ad Herat oggi, le ragazzine vanno a scuola, ci sono i taxi”, a differenza di “altre parti del mondo in cui c’è stato il Daesh”. Quanto durerà la missione italiana “non lo so – ha aggiunto il capo di Stato maggiore – ma il compito è accompagnare l’Afghanistan” alla piena stabilità. “A prescindere dall’impegno italiano, in assoluto fino al 2016 doveva esserci il ripiegamento delle forze della coalizione dall’aerea su Kabule”. Eppure, “nel tempo c’è stato un rallentamento pensando che le Forze afghane avevano ancora bisogno di supporto da parte della Nato”. Proprio per questo, ha ricordato Graziano, “l’Italia (che dopo gli Stati Uniti ha dispiegato il maggior numero di soldati nel Paese, ndr) ha mantenuto nel tempo uno sforzo importante e continua a mantenere una presenza rilevante nell’ovest del Paese”. Ora, “è giusto chiedere anche ad altri Paesi di condividere questo sforzo”.

L’ALLARME TERRORISMO NON È CAMBIATO

Intanto, in Patria sembra tornato alto l’allarme terrorismo. Prima di Pasqua, le parole del capo della Polizia Alessandro Pansa e del ministro dell’Interno Marco Minniti avevano fatto intendere che la minaccia per il nostro Paese fosse concreta. Le molteplici operazioni che ne sono seguite hanno confermato i timori e riacceso i riflettori su un fenomeno mai sopito, tanto meno dopo la sconfitta sul campo dell’Isis. Il capo di Stato maggiore è intervenuto anche sul tema: “Per l’Italia non è cambiato lo stato di allarme”, ha spiegato. “Nessuno può dire che non ci siano rischi, ma stiamo operando anche sul piano internazionale per prevenirli e contrastarli”.

IL DOSSIER EUROPEO

Nel frattempo l’Unione europea procede sul fronte della difesa comune. “Con la Brexit c’è stato un grosso cambiamento concettuale ma anche tecnico-militare”, ha notato Graziano. Ora, ha aggiunto il generale che dal prossimo novembre sarà presidente del Comitato militare dell’Unione europea, “i problemi militari e quelli politici viaggiano coordinati”. I primi 17 progetti della cooperazione strutturata permanente (Pesco), quattro dei quali a guida italiana, confermano che la strada è ormai intrapresa. Secondo il presidente del Cesi Andrea Margelletti, la Pesco rappresenta “uno snodo fondamentale nella costruzione della casa comune europea” e il sistema-Paese deve “sviluppare uno sforzo sinergico per presentarsi a questo storico appuntamento in una posizione altamente competitiva rispetto ai principali partner continentali”. Da questo punto di vista sembra incoraggiante l’accordo di finanziamento di recente sottoscritto dal campione italiano del settore, Leonardo, per Ocean 2020, il primo progetto finanziato dal Fondo europeo per la difesa. L’azienda di piazza Monte Grappa guiderà un consorzio di 42 partner da 15 Paesi per le nuove tecnologie da impiegare nella difesa marittima.

graziano

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