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L’affaire Cambridge Analytica non può essere riduttivamente definito “Datagate”, in quanto non ci troviamo dinnanzi a un caso di “semplice e tradizionale” esfiltrazione di dati da un qualsivoglia archivio digitale, ma “socialgate” poiché questo è il primo caso di dual-use digisociale, di sfruttamento asimmetrico organizzato di risorse (cyber)sociali al fine di trarre un proprio vantaggio nell’ambito di una competizione elettorale.

Ciò è stato possibile in quanto, oggi, sia nei sistemi democratici digitalmente maturi che in quelli ancora in via di sviluppo digitale, le campagne elettorali appaiono sempre più difficili dall’essere centrate sui fatti, sulle concrete azioni. In tal senso, la conquista dei cuori e quindi delle menti, il dominio della sfera delle percezioni, diviene l’obiettivo primario per la ricerca del consenso elettorale.

L’evoluzione del marketing digitale, fa sì che attraverso un sofisticato engagement fatto non solo di contenuti testuali, ma di messaggi audio-video fortemente polarizzanti – dall’apocalittico all’idilliaco -, si alternino per sollecitare il “riflesso emozionale” della cittadinanza e polarizzarla politicamente. Questo appare estremamente rilevante soprattutto per quanto concerne lo “spostamento” degli indecisi.

La paura, anzi le paure, rappresentano il core business di quella che erroneamente continuiamo a definire propaganda, ma che oggi è sempre più qualcosa di completamente nuovo che non si rivolge alle masse ma al singolo, alle sue fragilità individuali, attraverso una dinamica di globalizzazione individualizzata mobile. Ciò consente il confezionamento di messaggi sempre più (cyber)tailored, “cuciti” attorno alle caratteristiche dell’individuo. Speranze e paure individuali, non necessariamente esplicitate ma remote, inconsce, tenute nascoste, rappresentano il cuore della comunicazione politica contemporanea. Purtroppo, vi è da considerare che la convergenza digimediale fa sì che sia molto difficile distinguere l’acquisizione informativa per scopi di ricerca da quella prettamente business oriented, in considerazione talvolta della trasversalità del committente e dei finanziamenti da esso diretti al mondo accademico, in particolare in contesti come quello statunitense e israeliano.

L’homo digitalis si è ormai trasformato da consumatore a “consumato”. Ogni giorno, infatti, i nostri dati personali sono acquisiti, analizzati e utlizzati per fini commerciali o, come nel caso di Cambridge Analytica, per individuare i soggetti più vulnerabili in termini di persuasione, ossia più facilmente influenzabili in ordine all’espressione di voto. Nella convergenza digimediale, il cittadino-utente diviene quindi micro-target dell’intelligence gathering, della profilazione utente, talvolta ai limiti della penetrazione-invasione della privacy. Si acquisiscono e/o si comprano dati, sino a strutturare ingenti dataset – nel caso di Cambridge Analytica, allo stato sembrerebbe che si fosse giunti in soli due mesi a 50 milioni di utenti Facebook – con cui “calibrare” le proprie “armi di ridefinizione socio-culturale di massa”, in un contesto in cui il confine tra persuasione e manipolazione risulta estremamente labile. Nell’era della post-verità, infatti, i lati più oscuri, ibridi e ambigui della (cyber)socialità mobile, divengono terreno fertile per le fake news, la disinformazione, la deception, le fake identitites e il dossieraggio.

Le campagne elettorali del primo ventennio del XXI secolo si fondano sul re-branding del soggetto politico, sull’individuazione di un manifesto elettorale che tenga saldamente interconnessi il soggetto politico, il gruppo, il movimento o il partito con gli attori chiamati ad interagire pubblicamente con l’elettorato attraverso un’attenta analisi su informazioni acquisite tramite survey massivamente disseminate. Nell’epoca dei social mobile media – che preme sottolineare, sono altro rispetto ai “primordiali” social network -, si assiste alla convergenza di un enorme numero di informazioni personali, per la prima volta contenute all’interno della medesima piattaforma.

Si moltiplicano le aziende private che attraverso procedure automatizzate d’intelligence target-centrica, esplorano il cyberspace con l’obiettivo di destrutturare multidimensionalmente l’avversario politico, soggetto-target sia esso collettivo o individuale, al fine di poterne disvelare ed analizzare in profondità ogni aspetto e relazione per poi procedere alla strutturazione orientata di report ad hoc che ne evidenzi le vulnerabilità soprattutto in termini reputazionali. Vi è da considerare, tra l’altro, che sul piano socio-relazionale, le persone con cui intratteniamo ogni giorno rapporti di varia natura: sentimentale, familiare, amicale, di lavoro, di vicinato, e così via, conoscono probabilmente un solo livello e/o un numero limitato di manifestazioni del nostro comportamento, che sono il riflesso adattivo del nostro essere in ogni singolo contesto. L’ecosistema (cyber)sociale conserva tutte le nostre manifestazioni, siano esse più o meno direttamente riconducibili alla nostra identità o celate dietro avatar.

Le medesime aziende si occupano, quindi, del cyber-trolling, di organizzare attorno ad un determinato soggetto politico, audience fittizie che “attestino” la coerenza e l’efficacia dello stesso, dando vita alla microsfera relazionale embrionale, primaria, su cui man mano far convergere e “innestare” le audience debitamente coltivate e polarizzate attraverso le social media platform.

Il cittadino digitale viene ricompattato in omogenei segmenti di popolazione, anche grazie allo sviluppo ed alla pervasività delle strategie “on demand”, dall’entertainment alla politica, che consentono sempre più di prevederne ed anticiparne il comportamento.

La conoscenza del sé digitale, consente di anticipare quali siano le vulnerabilità mentali del singolo elettore, i suoi bias cognitivi, insomma di avere piena consapevolezza del suo profilo. Ciò risulta necessario al fine di dover costruire per questi una rappresentazione alterata della realtà, talvolta completamente ridefinita attraverso messaggi evocativi che generano reazioni predeterminate che orientano l’individuo nella direzione attesa in termini di polarizzazione emozionale. Nel contesto (cyber)sociale, non più il tracciamento, ma l’anticipazione risulta essere la principale risorsa strategica su cui sviluppare strumenti, metodologie, tecniche e tattiche di comunicazione, sia in termini di influenza, persuasione, manipolazione e psyops che in quanto alla prevenzione ed al contrasto ai fini della tutela della sicurezza democratica di un Paese.

Governare la democrazia, tutelare la sicurezza, oggi significa gestire l’informazione e proteggerla dalle minacce invisibili della contemporaneità digitale in cui inevitabilmente si assiste alla convergenza dei fenomeni criminali complessi nel medesimo universo digitale, non più virtuale, ma ormai imprescindibilmente ed umanamente reale.

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Di Arije Antinori

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