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Italia fuori dall’Ue. Solo un italiano su 4 dice sì. Titolo: Corriere della Sera di lunedì, dati forniti da Pagnoncelli sondaggio Ipsos. L’euroscetticismo è in crescita. È il risultato degli ultimi 90 giorni? Dal 4 marzo alla nascita del Governo Conte-Di Maio-Salvini (rigoroso ordine alfabetico) è stato un sottosopra continuo di affermazioni di politica economica che hanno spaziato nel combinato disposto dalle tante promesse elettorali al contratto di programma della coalizione giallo-verde. Una sintesi nel momento più drammatico: euro Sì, euro No. C’è chi lo ha scritto, chi ha detto le sue ragioni del Sì o del No, che tanto hanno attenzionato esperti ben più strutturati del sottoscritto. Legittimamente e sopratutto per una questione di libertà di espressione. Io scrivo la mia.

Una domanda mi ha affascinato: cosa può succedere nel caso di… Qui la risposta diventa delicata. L’euro lo abbiamo in tasca da 18 anni. Criticarlo? Sì, no, forse. Può esistere un “piano B” di uscita dalla moneta unica promosso unilateralmente da un Paese dell’eurozona?

Al di là delle appartenenze politiche in questi 90 giorni ho raccolto lo sconforto per questa fase confusa della politica nazionale di quell’Italia che non ti aspetti fatta dai protagonisti delle aziende che stanno portando, per esempio, la regione Emilia-Romagna a una crescita del Pil quasi del 2%… Attenzione, non sono avidi uomini o donne di Wall Street o oligarchi russi o sceicchi arabi o mandarini cinesi che comprano e vendono proprietà senza pietà. Sono imprenditori, lavoratori con cui ho studiato a scuola o all’università, o che ho conosciuto in questi anni da “politico eletto nelle istituzioni”. Sono quelli che con orgoglio si sono fatti largo nella vita.

Negli anni 80 si parlava di Terza Italia. Venivano i giapponesi o Michael Porter a studiarla. Beh posso testimoniarlo. C’è ancora questa Italia. Ma da terza forse adesso è diventata la prima in termini economici. È quella che ci sta tenendo a galla, con l’innovazione industriale, formazione e competenze del capitale umano del learning by doing (per seguire l’english style) e che ha di fatto sostenuto una crescita record del nostro export. E visto che le grandi aziende o le grandi fabbriche stanno sempre più diventando flat, lean production, o altri inglesismi a vostra scelta, le Pmi del manifatturiero e dei servizi contano sempre di più nel nostro Pil e nel contributo al nostro Welfare.

Ecco, insediato il governo a ridosso del 2 giugno, coincidenza simbolica, vorrei raccontare sul tema No euro o Sì euro, chi veramente ha un piano B in caso di uscita dall’euro. E non è teoria. Nel caso di una decisione di un Governo su questo tema di una Italexit sarebbe proprio quell’Italia che non ti aspetti, che produce, che è internazionalizzata, che lavora ogni giorno portando il Made in Italy nel mondo ad avere un piano B.

Il piano B è pronto e prevede – nel caso si concretizzasse il No euro – che molte spa, srl o Holding italiane trasferirebbero la sede legale all’estero. Olanda, Irlanda per esempio, sempre però in area euro. Dai 5 ai 10 giorni il timing. Poi si vedrà per il resto. Sicuri di voler provare per credere?.

Euro Sì, euro No. La terra dei cachi...

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