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Il 4 marzo scorso, gli elettori italiani hanno scelto. Come un uragano, il consenso elettorale ha mandato in crisi le appartenenze politiche più tradizionali e moderate e ha premiato la Lega – il terzo partito più votato, con il 17,40% dei voti – sui temi della sicurezza e dell’immigrazione. Il M5S ha espugnato il Sud per aver saputo intercettare temi come la protesta economica, la legalità e la disoccupazione. Il dopo elezioni rivela un’Italia politica dipinta da due colori: blu al Nord e giallo al Sud, con alcune chiazze rosse in Toscana e in Emilia Romagna.

Il significato politico del voto è indiscutibile: sono state scelte le due forze più antieuropeiste – almeno a parole – dello scenario politico. In modi diversi esse hanno saputo canalizzare le paure sociali e la speranza di cambiamento, in una campagna elettorale pensata a colpi di slogan, senza alcun confronto diretto tra i leader, in cui sono prevalsi l’idea di nazione, la nostalgia del passato, il sogno di un governo perfetto, un’idea miracolistica di politica.

LUCI E OMBRE DELLE FORZE POLITICHE IN CAMPO

Queste votazioni segnano un prima e un dopo nella vita politica del Paese. Al modo di un enzima, accelereranno i processi di scomposizione politica già in corso: il 60% dei parlamentari è nuovo, e tutto ciò che aveva il sapore di istituzionale e di tradizionale – linguaggio, metodo, rispetto degli alleati, ricerca del consenso, forme mediate di partecipazione, adesione alle regole e alle procedure ecc. – è giunto al capolinea.

È il caso, per esempio, del Pd, nato per federare le culture riformiste del Paese, come quella cattolica, la liberal-moderata e quella comunista. Le divisioni insanabili della sinistra italiana e il crollo della sinistra in Europa mettono in questione la natura del Pd, nato per un modello maggioritario e dell’alternanza. Chi penserà oggi, nel loro insieme, temi classici come la giustizia sociale e i diritti, le uguaglianze e le libertà, la redistribuzione del reddito e la tutela ambientale? Che cosa rimarrà della forza politica che traina il centrosinistra? Lo insegnavano gli antichi, tertium non datur: il bivio davanti al quale si trova il Pd è quello di diventare un medio-piccolo partito, come il partito socialista di Craxi, l’ago della bilancia dei governi degli anni Ottanta e dell’inizio degli anni Novanta. Oppure trasformarsi in una forza di coesione delle anime del centrosinistra. È presto per dirlo.

Il risultato delle votazioni ha colto in contropiede anche gli intellettuali: la costruzione del consenso non è passata attraverso i media tradizionali, ma nei social e attraverso i video condivisi; il pathos ha prevalso sul logos, la credenza del cambiamento per il cambiamento ha prevalso sulle ragioni del fare il concretamente possibile per rispettare i vincoli europei e il risanamento dei conti pubblici.

Di Maio e Salvini, nelle loro differenze, sono riusciti a promettere una liberazione dalle schiavitù (politiche) che i cittadini sentono di subire; hanno intercettato le ansie e le rabbie di masse psicologicamente abbandonate e delle parti della società più isolate. Il linguaggio politico di Salvini è stato come un tuono sulle paure, quello di Di Maio è stato simile a un fulmine sulle istituzioni, ma è servito per scaricare a terra le tante tensioni sociali presenti nel Pae¬se. Soltanto il tempo dirà se i loro programmi sono stati un sogno da realizzare o utopie da dimenticare. Entrambi i partiti sono forze populiste ed euroscettiche. Il M5S è contrario alle regole della democrazia rappresentativa e a favore di forme di democrazia diretta. Per questo sono riusciti a far prevalere una visione messianica e moralistica della politica, sacrale e al tempo stesso laicista, una forma moralizzata di antipluralismo, che ha contrapposto l’idea di «popolo puro» a tutto ciò che è istituzionale.

VERSO QUALE EUROPA?

Certo, la vittoria di Salvini su Berlusconi, che ottiene il 14,3% dei consensi, sbilancia la coalizione a destra. Ma la domanda centrale rimane: quale Europa costruire? Quella di Macron e della Merkel? Oppure quella del gruppo Visegrad – Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria –, che da anni si oppone all’accoglienza dei richiedenti asilo nell’Ue? È noto che, soprattutto per Salvini e, in tono minore, per Di Maio, il sistema della moneta unica è destinato a tramontare, l’euro rimane una moneta sbagliata. Non si tratta di tattica, ma di una strategia ribadita nel giorno del voto da Steve Bannon, il quale sta progettando un’Internazionale populista: «Sento lo stesso clima pre-Trump: Italia cruciale per tutti i populismi». Senza esitare, l’ex esperto del presidente Usa ha dichiarato che la coalizione Lega-M5S «trafiggerebbe al cuore Bruxelles».

Nella sua prima conferenza stampa, nella sede nazionale del Carroccio in via Bellerio a Milano, Salvini ha citato Orban e ringraziato Marine Le Pen «per la stima, la vicinanza anche in momenti difficili». La Lega e il Front National condividono infatti le proprie posizioni sovraniste, indipendentiste, antieuropeiste, critiche contro le politiche di accoglienza dei migranti. Ma su quest’ultimo punto il Segretario di Stato Vaticano, card. Pietro Parolin, ha fatto sapere che la Santa Sede continuerà a predicare, come ha sempre fatto, a favore dell’accoglienza: «La Santa Sede sa che deve lavorare nelle condizioni che si presentano. Noi non possiamo avere la società che vorremmo, non possiamo avere le condizioni che vorremmo avere. Quindi credo che, anche in questa situazione, la Santa Sede continuerà la sua opera di educazione, che richiede molto tempo». Ha poi aggiunto: «Non è facile, dobbiamo riconoscerlo. Ma questa è una sfida che spetta alla politica, ossia conciliare le due esigenze, ambedue imprescindibili. È logico, i cittadini devono sentirsi sicuri e protetti, ma allo stesso tempo non possiamo chiudere le porte in faccia a chi sta fuggendo da situazioni di violenza e di minaccia».

È vero, in politica vince chi con-vince, ma il voto non può limitarsi a essere una delega in bianco. In una fase sociale così delicata, esso può essere solo l’inizio di una nuova stagione di impegno.

VERSO UN NUOVO GOVERNO? ALCUNI POSSIBILI SCENARI

Rimane infine un’ultima domanda: quali forze governeranno il Paese? Il nuovo Parlamento si riunirà il 23 marzo per eleggere i presidenti di Camera e Senato: sarà quello il momento in cui emergeranno le alleanze politiche che sosterranno il nuovo Governo. «Di necessità, virtù», dice il proverbio, perché anche in politica la matematica non è un’opinione, anzi costringe a smussare gli angoli spigolosi della politica. Ci vorrà però del tempo per sedimentare lo scontro e formare alleanze su programmi che abbiano un minimo comune denominatore.

Tramontata la possibilità di una maggioranza di larghe intese delle forze che convergono verso il centro politico, se il Pd sceglierà di rimanere all’opposizione, il M5S potrebbe governare con la Lega di Salvini o insieme alla coalizione di centrodestra. Il reddito di cittadinanza del M5S e la flat tax della Lega, insieme alla competizione dei loro leader, sembrano però elementi difficili da conciliare.
Nessun partito o coalizione ha la forza di governare da solo, ma il rispetto delle regole istituzionali garantirà accordi realistici e possibili. In un quadro così incerto, assume una rilevanza centrale il ruolo del Presidente della Repubblica. Egli non è vincolato ad alcunché, nemmeno ad affidare l’incarico automaticamente al primo partito. Seppure nel rispetto delle regole elettorali, dispone di un ampio potere discrezionale, condizionato solo dal fine, ovvero individuare la possibilità di accordi realistici e fattibili.

Un secondo scenario possibile è rappresentato da un Governo guidato dal M5S con l’appoggio (esterno) del Pd su precisi punti programmatici e con l’impegno di approvare una legge elettorale sul modello del doppio turno francese, che premi la governabilità e semplifichi l’offerta politica su tre grandi contenitori politici.

Rimane un terzo scenario minore: quello del Governo di scopo, ma le prospettive menzionate sono destinate a dividere il Pd e a far crescere nei consensi le forze che rimarranno all’opposizione.

IL RUOLO DEI CATTOLICI

I partiti si sono ormai trasformati in grandi collettori di consenso. L’appartenenza e l’identità politica non sono più considerate un valore sociale: lo dimostra il voto che ha premiato la protesta. Per allontanare lo spettro di nuove elezioni con questa legge elettorale, occorre appellarsi a quanti hanno a cuore il futuro del Paese, perché il bene di tutti sia superiore a quello delle singole forze politiche. Come ha affermato il presidente Mattarella, «le sorti del Paese sono comuni». Ci vuole «responsabilità» per custodire il bene della democrazia in un tempo di crisi.

Anche l’elettorato cattolico – il cui voto è stato distribuito su quasi tutte le principali forze politiche scese in campo – è chiamato a una nuova responsabilità. La fase politica che si è aperta, segnata dall’incertezza e dall’instabilità, è l’occasione per formare una nuova coscienza sociale, capace di distinguere e promuovere le scelte politiche conformi al Vangelo e ai princìpi della Dottrina sociale della Chiesa e di fare obiezione di coscienza sulle altre.

cattolici

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