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Il quotidiano inglese Guardian ha ottenuto informazioni su una vicenda da film di spionaggio avvenuta all’interno dell’ambasciata americana a Mosca; questa è la storia.

Gli investigatori del controspionaggio americano hanno scoperto che una sospetta spia russa aveva lavorato nel cuore dell’ambasciata americana in Russia per oltre un decennio. Cittadina russa, era stata assunta dal Secret Service e si ritiene che avesse accesso alla rete intranet e ai sistemi di posta elettronica dell’agenzia: una concessione di sicurezza che le ha dato una finestra d’osservazione privilegiata su materiale altamente riservato, compresi gli orari del presidente e del vicepresidente.

La donna, di cui non è stata resa nota al momento l’identità, aveva lavorato per il servizio segreto per anni – un decennio più o meno – prima di venire sospettata nel 2016, durante una revisione di routine sulla sicurezza interna, condotta da due investigatori dell’Ufficio di sicurezza regionale del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti (RSO).

Al Guardian è stato detto che l’RSO lanciò l’allarme nel gennaio 2017, ma l’agenzia preferì non avviare una propria inchiesta su vasta scala: decisero piuttosto di lasciarla andare tranquillamente qualche mese dopo, “forse per contenere il potenziale imbarazzo che avrebbe potuto causare”, scrive il giornale inglese, sebbene furono trovate prove di incontri regolari che la spia teneva con membri dell’Fsb, la principale agenzia di sicurezza russa.

Una fonte ha raccontato al Guardian che la donna è stata licenziata la scorsa estate, dopo che il dipartimento di Stato le aveva già revocato l’autorizzazione di sicurezza. La decisione arrivò poco prima di un giro di espulsioni di personale statunitense richiesto dal Cremlino, a seguito della decisione di Washington di imporre ulteriori sanzioni al paese.

Il 30 luglio del 2017, il presidente russo, Vladimir Putin, annunciò durante una diretta su Rossiya-1 (il primo canale della Tv statale) la volontà di non rinnovare l’autorizzazione di permanenza a diversi dipendenti del personale diplomatico americano, che avrebbe dovuto ridursi di 755 unità (molti di loro erano in realtà cittadini russi che lavoravano alle dipendenze dei diplomatici statunitensi, come autisti, giardinieri e interpreti). La decisione di Putin si legava alle “politiche che Washington sta adottando”, spiegò il russo – “Sono grato” a Putin perché stiamo cercando di tagliare le spese, commentò l’americano Donald Trump (non ci sono mai state spiegazioni chiare sul se si trattasse una battuta, ma probabilmente lo era, ndr).

Nei giorni precedenti alle espulsioni, e dunque anche all’allontanamento della spia russa che stava lavorando all’ambasciata americana, Trump aveva posto la sua firma (un po’ controvoglia, ndr) su nuove dure sanzioni votate quasi all’unanimità dal Senato americano, con cui i legislatori intendevano punire la Russia per l’interferenza durante le elezioni presidenziali del 2016.

Questione piuttosto calda ancora oggi – e che per altro si intreccia con un’altra vicenda di spie infiltrate tra i sistemi politici americani: la storia di Maria Butinaaccusata di spionaggio qualche settimana fa, a cui l’intelligence russa avrebbe affidato il piano per lavorare da dentro i sistemi di raccolta fondi elettorali e la politica di Washington.

Ieri, parlando dal podio della sala stampa della Casa Bianca, una manciata di alti dirigenti del settore sicurezza americano hanno ricordato che la Russia continua, anche adesso, a portare avanti una campagna “pervasiva” di guerra informativa per “indebolire e dividere gli Stati Uniti”. I virgolettati sono di Dan Coats, Direttore della National Intelligence (il Dni, ossia il capo di tutte le agenzie di intelligence americane): “Il Presidente ci ha specificamente indicato come rendere prioritaria la questione delle interferenze e assicurare il nostro processo elettorale” – gli americani andranno al voto quest’anno per il rinnovo di una parte dei seggi al Congresso (le Midterms) e poi tra due anni per le presidenziali.

La presenza di quei massimi funzionari nella briefing room della Casa Bianca è probabilmente uno dei momenti più simbolici con cui è stato marcato lo sforzo dell’amministrazione per comunicare che la via per combattere gli attacchi russi alla democrazia americana è stata intrapresa con la massima serietà: ce li abbiamo nel mirino, ha detto la segretario per la Homeland security, Kirstjen Nielsen. Siamo pronti a condurre “operazioni attive” contro coloro che cercano di infiltrarsi nei nostri sistemi, ha aggiunto il generale Paul Nakasone, capo della National Security Agency e US Cyber ​​Command del Pentagono – facendo eco a parole simili dette dal segretario James Mattis durante una conferenza stampa quasi contemporanea al dipartimento della Difesa.

“Penso che il Presidente abbia reso abbondantemente chiaro a tutti quelli che hanno responsabilità in questo settore che a lui interessa profondamente [la questione] e che si aspetta che facciano il loro lavoro al massimo, e che li sostiene pienamente”, ha replicato il consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton, pressato dai corrispondenti dalla Casa Bianca sulla differenza cognitiva tra quanto da sempre affermato da intelligence, difesa e sicurezza – e ribadito con la massima forza ieri – e alcune posizioni ambigue prese dal presidente Trump.

(Foto: Twitter, @jonkarl)

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