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Il gesto in sé è quasi un atto dovuto. Ma il tempismo con cui il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte si recherà a Washington il prossimo 30 luglio per fare visita a Donald Trump, quello non è affatto scontato. Accerchiato da intelligence, politica e mondo mediatico, tutti infuriati per il summit di Helsinki con Vladimir Putin, il presidente americano chiama all’appello il capo dell’unico governo fra i big europei che ha esplicitamente promesso al suo elettorato di voler migliorare i rapporti con Mosca e rivedere le sanzioni di Bruxelles contro il Cremlino. “Non dobbiamo caricare di troppo significato la visita di Conte a Washington. Una visita di Stato in America per un governo italiano appena nato rientra nella normalità” spiega a Formiche.net Giovanni Castellaneta, che è stato ambasciatore italiano a Washington dal 2005 al 2009 e ha una lunga carriera diplomatica alle spalle. “Però è anche vero che la visita di lunedì arriva in un momento particolare, con un presidente che ha appena fatto ritorno da un faccia a faccia con Vladimir Putin e il capo di un governo che presenta più di un’affinità con l’amministrazione Trump, soprattutto per la componente verde”.

Eccetto per una simpatia epidermica del presidente americano nei confronti del premier fiorentino, che pure aiuta (anzi, è fondamentale per la Trump diplomacy), c’è più di un motivo per sperare nella buona riuscita dell’incontro. “Non dimentichiamo che la simpatia che gli Stati Uniti nutrono nei confronti dell’Italia non è dettata solo da ragioni economiche o commerciali. Il nostro Paese vanta un soft power senza eguali anche perché negli States c’è una comunità di 30 milioni di italoamericani che negli ultimi anni, specie le giovani generazioni, stanno riscoprendo le loro origini” ci ricorda Castellaneta, che ha mantenuto una fitta rete di contatti con gli italoamericani conosciuti durante la sua missione e conosce bene gli umori delle piccole e grandi Little Italy sparse per gli States. Non è tutto. Ora che l’Europa è stata riabilitata agli occhi del Tycoon grazie a un pellegrinaggio di Jean-Claude Juncker che ha allontanato le nubi di una guerra commerciale, il premier Conte potrà respirare un’aria più salubre e parlare con una certa libertà di investimenti e accordi commerciali. Tanto più dal momento che l’Italia è uno dei pochi Paesi europei che non è stata fulminata da Trump per un eccessivo surplus commerciale (a differenza della Germania di Angela Merkel, che viene presa di mira dalla Casa Bianca 24h). “Questo è un buon momento per aumentare i nostri investimenti negli Stati Uniti” continua fiducioso Castellaneta, “quando ero ambasciatore a Washington abbiamo molto investito nel campo della Difesa con Finmeccanica e dell’energia con Enel e Eni. Abbiamo eccellenze nel settore della Difesa come Fincantieri, che sta gareggiando per una importante commessa militare, e Leonardo che vanta una presenza storica”.

Certo, il faccia a faccia fra Conte e Trump non potrà risolversi in una risata. Corrono tempi gravi, e l’Italia è un Paese strategico in Europa per più di un motivo. “L’Italia ricopre una posizione geostrategica nel Mediterraneo che non è paragonabile a nessun altro Paese nella regione, purtroppo non siamo sempre riusciti a sfruttarla”, sospira l’ambasciatore. La visita di lunedì può essere una buona occasione per farla valere, soprattutto quando sarà affrontato il dossier numero uno: i rapporti con la Russia di Putin. Per Castellaneta l’importante è parlare a una voce sola (non è facile per un governo che è troppo spesso polifonico e litiga al suo interno), senza aver paura “di uscire dal coro europeo”. “Ovviamente dobbiamo partire dal rispetto dagli accordi di Minsk, senza considerarli come un punto di arrivo ma come un punto di partenza. La Russia da parte sua ha dimostrato di voler dialogare. Le posizioni di Bruxelles si possono anche rivedere, senza mai lacerare il nostro rapporto con l’Unione Europea, perché perderemmo forza e credibilità” spiega. Inutile illudersi che sia sufficiente parlare con Trump nello Studio Ovale. Il navigato diplomatico italiano sa che i giochi sono più complessi: “non si può parlare di una sola amministrazione americana, a Washington ci sono più voci. Il premier italiano dovrà fare i conti con un blocco interno all’amministrazione e alla diplomazia americana che è molto scettico di una riapertura dei rapporti con Mosca. C’era ai tempi del passaggio da Yeltsin a Putin, c’è oggi sia nel Congresso che nei rami dell’esecutivo. Chi si aspettava dopo il crollo del muro di Berlino una Russia aperta si è dovuto ricredere. In più oggi il Russiagate traccia una linea rossa fra Mosca e Washington e non facilita le cose”.

A questo blocco non saranno piaciute le esternazioni del ministro dell’Interno Matteo Salvini al Washington Post, quando ha giustificato senza battere ciglio l’annessione russa della Crimea, salvo poi essere smentito dalla Farnesina. Nulla di grave, minimizza Castellaneta: “Il ministro dell’Interno è anche vicepresidente del Consiglio, una carica prettamente politica, ed è capo di un partito che, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe essere il primo in Italia. Ha la responsabilità dela sicurezza e del presidio dei confini, è un ruolo confinante con quello di ministro degli Esteri e lo stesso vale per prefetti e ambasciatori”.

Il nodo da sbrogliare, aggiunge, non sarà tanto la postura verso Mosca quanto la diplomazia con l’Iran. C’è da fidarsi, dal momento che Castellaneta è stato ambasciatore italiano a Teheran dal 1992 al 1995. “Auguro che l’escalation verbale di Trump verso Rohani degli ultimi giorni si limiti alle parole, altrimenti per noi sarebbe un disastro” commenta preoccupato il diplomatico, che ha un ultimo consiglio non richiesto per Conte: “l’Italia deve lavorare perché venga mantenuto l’accordo del Jcpoa e semmai chiedere di migliorarlo, sia nella parte dei controlli sia nella parte delle sanzioni”.

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