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“L’operazione EUnavfor med Sophia svolge un ruolo fondamentale…È quindi nel nostro comune interesse che qualsiasi eventuale modifica relativa alle nostre attività in corso sia valutata con la massima attenzione”. Lo ha scritto il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nella sua risposta alla lettera del premier Conte, dopo che i partner Ue avevano espresso “forte preoccupazione” per la decisione italiana, resa nota alla riunione del Comitato politico e di sicurezza, di non accettare più lo sbarco “automatico” nei suoi porti di chi viene salvato dalle unità della missione Sophia.

È solo l’ultima puntata questa del tira e molla tra Roma e le cancellerie europee, Bruxelles compresa, alla disperata ricerca di forme di collaborazione intra-Ue per il governo dei flussi che vadano oltre gli accordi una tantum come quello raggiungo con Francia e Malta per accogliere 100 dei 450 migranti recentementi ripescati nel Mediterraneo.

“Non esistono scorciatoie per affrontare la questione migratoria”, commenta l’ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte ai microfoni di Formiche.net. Secondo l’esperto militare e professore di studi strategici, “il problema non sono solo i migranti che arrivano oggi in Europa, ma quelli che arriveranno in futuro. I dati dell’Unhcr (L’Alto Commissariato Onu per i rifugiati) ci dicono che solo l’anno scorso sono state 68 milioni le persone costrette alla fuga per guerre, violenze e persecuzioni. Siamo di fronte ad un fenomeno epocale che necessità di una visione strategica e di lungo periodo”.

Nel lungo periodo, è evidente, nessuno Stato può pensare di gestire da solo i flussi. Da questa riflessione muoveva la proposta di Conte, contenuta nella lettera, di creare una “cellula di crisi” sotto l’egida della Commissione, per una gestione rapida e condivisa dei vari aspetti relativi alle operazioni di Search and Rescue”, con il compito di “coordinare le azioni” degli Stati.

Una proposta questa che ha trovato l’apertura della Commissione, seppur con qualche riserva. “L’Italia invoca da tempo, e a ragione, una cooperazione regionale sugli sbarchi – ha scritto infatti Juncker – la Commissione è pronta a svolgere pienamente la sua funzione di coordinatrice, ma soltanto come tappa in direzione di un quadro più stabile”. Per poi aggiungere, “non va però dimenticato che l’Ue non ha competenza per determinare il luogo/porto sicuro da usare per gli sbarchi in seguito a un’operazione di ricerca e salvataggio in mare”.

Si procede quindi ancora a tentoni, tra brusche frenate e timidi tentativi di cooperazione, nella partita per la gestione dei flussi migratori. “Un lavorio di fondo – lo ha definito Sanfelice di Monteforte – che speriamo possa portare all’elaborazione di una vera e propria strategia europea”. Non bisogna preoccuparci troppo delle scaramucce intra-europee, ammonisce l’ammiraglio, “L’Europa in fondo rimane quel posto dove le discussioni accalorate si sostituiscono agli atti di guerra”.

C’è però una strada che sicuramente non ci porterà da nessuna parte, “la tattica dello scarica-barile, che prevede che chi sta più a nord scarichi tutte le conseguenze del problema su chi sta più a sud”. Attenzione però, l’Italia, che è spesso la vittima di questo meccanismo perverso, non è a sua volta del tutto immune da responsabilità. La proposta di Salvini, che mira a far riconoscere la Libia dall’Ue come porto sicuro così da permettere alle imbarcazioni europee di riportare in Libia i migranti salvati in mare, “è tale e quale a quello che fa l’Austria con l’Italia quando chiude il Brennero ai migranti, non ha niente a che fare con la definizione di una strategia”. Piuttosto, il governo dovrebbe puntare a fare gioco di squadra con gli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Grecia e Spagna su tutti, – i nostri alleati naturali nella partita dei flussi migratori –  li definisce l’ammiraglio.

Insomma, la via da perseguire sembra quella tracciata, da ultimo, dal ministro degli Esteri Moavero, che ha parlato di “meccanismi strutturali” piuttosto che emergenziali per la gestione dei flussi, che non si limitino a affrontare i singoli casi.

“Una gestione strutturale presuppone però una strategia di stabilizzazione dell’Africa, – commenta Monteforte – quella di far stazionare i migranti e tempo indeterminato nei campi rifugiati in Libia non è una soluzione, queste persone vanno messe nella condizione di vivere in dignitosamente, ma per farlo bisogna aggredire alla radice il problema del tribalismo, che tutt’ora divora le comunità africane”.

“Occorrerebbe – conclude l’ammiraglio – recuperare la strategia di stabilizzazione a macchia d’olio usata dal generale francese Gallieni in Madagascar, che partendo da Tananarivo ha aperto la strada per la pacificazione e lo sviluppo dell’intero Paese”.

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