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“I curdi non hanno amici salvo le montagne”. Questo antico proverbio che accompagna il destino del popolo curdo sembra essersi nuovamente materializzato nella realpolitik che ispira i diversi attori del teatro siriano. Stati Uniti, Federazione Russa, Turchia, Iran, Arabia Saudita hanno perseguito i loro interessi nel conflitto siriano dando vita a mutevoli schieramenti che, una volta contenuta la minaccia di Daesh, hanno frustrato le aspirazioni autonomiste, se non indipendentiste, che dalla Siria al Kurdistan iracheno venivano avanzate dai combattenti curdi.

L’operazione Ramo d’ulivo, lanciata dalla Turchia ad Afrin contro le Unità di protezione popolare curde del Ypg, considerate alla stessa stregua dei terroristi del Pkk, e in contrasto con gli interessi statunitensi di costituire con questi un corpo curdo che assicurasse una presenza nel nord della Siria, è conseguenza dell’incompiuto assestamento delle politiche dei vari attori che si muovono in quest’area cruciale dello scenario di sicurezza. In questa regione, difatti, si scaricano le tensioni dei due archi di crisi che, da est e da sud, si intersecano in Siria e hanno posto la Turchia al centro di un crocevia d’instabilità, all’origine di numerosi attacchi terroristici.

Cerniera tra oriente e occidente, guardiano degli stretti, la Turchia è sempre stato un alleato fondamentale per la sicurezza atlantica. Nonostante un riorientamento in chiave maggiormente autonoma della politica estera e di sicurezza, gli altalenanti rapporti con la Federazione Russa e l’acquisto del sistema missilistico di difesa aerea S-400, la Turchia continua a svolgere un ruolo primario in seno alla Nato. Ad Ankara ha sede il Centro di eccellenza Nato per il contrasto al terrorismo che dal 2005 ha formato oltre 12mila ufficiali e funzionari civili provenienti da più di cento Paesi. La Turchia ha contribuito significativamente, con ruoli anche di comando, alla missione Isaf ed è in procinto di incrementare il proprio contingente nella missione Resolute support in Afghanistan, attualmente pari a 550 unità.

La Turchia, inoltre, è attivamente presente nei programmi Nato di assistenza, cooperazione e proiezione di stabilità al di là dell’Afghanistan, in Asia, in Iraq, in Ucraina e nei Balcani. Infine, nella base avanzata di Konya, la Turchia ospita gli aerei Awacs della Nato  che assicurano la sorveglianza aerea e il  anti-Daesh. Negli ultimi cinque anni, la Nato ha ulteriormente contribuito a rafforzare la difesa aerea della Turchia attraverso il dispiegamento di diverse batterie missilistiche Patriot e SAMP-T al confine meridionale, a protezione della possibile minaccia missilistica proveniente dalla Siria. Attualmente, tale missione è operata congiuntamente dall’Italia e dalla Spagna. Allo stesso tempo, la Nato ha aumentato la propria presenza nel Mar Nero e nel Mediterraneo orientale.

Un impegno comune, quello che lega da oltre sessantacinque anni la Turchia e la Nato che difficilmente potrà essere scalfito da interessi e frizioni contingenti o sostituito da altre direttrici strategiche. Non è verosimile ritenere che Ankara sia interessata a sostituire le attuali garanzie di sicurezza della Nato o i fondi e l’interscambio commerciale che la legano all’Europa e all’occidente, con nuove relazioni con Mosca o Teheran.

La solidarietà che lega la Nato e la Turchia ha connotato la visita che il Segretario generale delegato della Nato (Dsg), Rose Gottemoeller, ha effettuato in Turchia all’indomani dell’avvio dell’operazione Ramo d’ulivo in Siria. In tale occasione, il Dsg Gottemoeller ha sottolineato come nonostante la Nato “non sia presente in Siria, riconosca le preoccupazioni di sicurezza della Turchia” che costituisce un “alleato-chiave” che “ha sofferto attacchi terroristici brutali” essendo “il più esposto alle instabilità e agitazioni provenienti dal Medio Oriente”.

Temi che costituiranno l’oggetto delle imminenti riunioni del Consiglio atlantico, dei ministri della Difesa della Nato e del vertice che a luglio riunirà i capi di Stato e di governo e dell’Alleanza. La Nato, pertanto, ha inteso nuovamente condividere le minacce alla sicurezza avvertite dalla Turchia aprendo immediatamente la linea del dialogo con Ankara e richiamando più estesamente i membri dell’Alleanza alla solidarietà e collaborazione anche e soprattutto, in presenza di tensioni. Con ciò rinnovando quel ruolo unico dell’Alleanza, quale foro transatlantico di consultazione politica sui temi di sicurezza.

(Articolo pubblicato sulla rivista Formiche)

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