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L’attacco chimico nella cittadina di Douma, l’ultima enclave dei miliziani ribelli che ancora resisteva alla contro-offensiva governativa, è solo l’ultimo capitolo della crisi siriana. La guerra civile scoppiata nel 2011, e trasformatasi presto in vera e propria guerra regionale, è oramai, secondo l’analista Ispi Annalisa Perteghella, “una guerra mondiale in miniatura”, visto il numero di attori e di interessi in gioco.

Il treno a disposizione dell’Occidente per avere un ruolo di primo piano nel conflitto sembra passato da un pezzo. Al netto dei tweet guerrafondai della Casa Bianca, c’è ben poco che Washington possa realmente fare per influenzare gli sviluppi sul terreno. Attenzione però, l’asse Mosca-Damasco-Teheran è meno salda di quel che sembra. Nel lungo termine infatti, gli obiettivi russi e quelli iraniani potrebbero presto non essere più compatibili, minando così l’intesa tattica tra i due attori.

Trump ha reagito all’attacco chimico a Douma dicendo che i responsabili la pagheranno cara. C’è ancora spazio per un intervento dell’Occidente in Siria o ormai le carte le danno altri attori?

No decisamente non c’è più spazio per l’intervento occidentale. Se spazio c’era, c’era nelle primissime fasi del conflitto, quando la situazione non era così sclerotizzata e non c’erano formazioni jihadiste così numerose come si sono poi formate in seguito. Le carte le danno sicuramente altri attori. Abbiamo visto che il processo di Ginevra si è oramai arenato e si va avanti con i colloqui di Sochi, il vertice di Ankara della scorsa settimana, si sta spostando tutto verso l’asse Russia-Iran. Senza scordare poi la Turchia che si è dimostrata disponibile a accettare la permanenza di Assad al potere in cambio di mano libera con i Curdi. Il problema, come dimostrano i fallimenti di Sochi, è che anche questi attori non sembrano in grado di arrivare a una soluzione, una cosa è avere ragione sul terreno ad affermarsi militarmente, un’altra è avere la capacità politica di mediare tra le diverse parti in causa per trovare una soluzione politica che possa risolvere la crisi. Siamo ancora molto lontani da questo.

Comunque per quanto riguarda l’attacco chimico di Douma gli indizi portano tutti al Regime siriano o pensa che possano essere altri gli attori coinvolti, ad esempio uno dei gruppi della galassia jihadista nel Ghouta?

 Gli indizi portano sicuramente al Regime siriano. Intanto perché le armi chimiche erano, e probabilmente ancora in parte sono, nelle mani di Assad. Inoltre, non si capisce perché i ribelli avrebbero dovuto usare le armi chimiche, in un momento in cui addirittura avevano raggiunto un accordo con il regime. Jaysh al-Islam, la formazione islamista che comanda a Douma aveva raggiunto un’intesa con le forze governative per far evacuare la città per raggiungere le zone non controllate dall’esercito di Damasco. Quindi non avrebbe avuto ragione di sferrare un attacco.

Lo scopo dell’attacco è solo quello di terrorizzare la popolazione, di far capire chi comanda, o c’è di più?

Si per ribadire chi comanda. Alcuni osservatori facevano notare come l’attacco sia arrivato poche ore dopo che Trump aveva dichiarato che era pronto per ritirare le truppe dalla Siria. Ha fatto capire alla comunità internazionale che non è possibile una soluzione che non contempli Assad.

Nel frattempo, mentre in Siria si combatte, continua il tour di Bin Salman per restaurare l’immagine del Regno Saudita. Dopo gli Usa, Salman ha fatto scalo in Francia. Macron, sempre più attivo, almeno a parole, nella scena mediorientale, si è contraddistinto per le dichiarazioni molto forti contro il Regime dopo l’attacco di Duma. Ryad, da parte sua, è la rivale più acerrima di Assad. È possibile immaginare un’intesa franco-saudita che sostenga la necessità di un occidente nuovamente attivo in Siria in funzione anti-Damasco?

A questo punto, lo sanno anche Arabia Saudita e Francia, non è più immaginabile una nuova iniziativa contro Assad. Si tratta in questa fase di trarre più vantaggi possibile. C’è sicuramente un tentativo francese di agire da leader a livello europeo, non solo per i dossier intra-Ue, ma anche in politica estera. Non scordiamoci che la Francia rimane membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu. Si tratta di fare la voce più dura per rendere meno duri i termini di una sconfitta, comunque inevitabile, di chi aveva scommesso sulla fine della dinastia Assad.

 Altro attore importante è Israele. Il regime ha accusato proprio Tel-Aviv per l’attacco notturno contro la sua base aerea. La tattica degli israeliani è sempre quella di proteggere la sua zona cuscinetto al confine?

 Israele fa quello che fa dal 2013, da quando ha cominciato la campagna di attacchi aerei contro i convogli diretti a est. Israele si è sempre mantenuto neutrale rispetto alla crisi siriana, ma ha anche avuto sempre ben presente il suo obiettivo di mantenere lontani dai suoi confini l’Iran e le milizie sciite facenti capo a Teheran, su tutte Hezbollah. Quindi l’attacco di questa notte non è un’iniziativa contro Assad, quanto uno dei tanti attacchi finalizzati a far capire anche alla Russia, che formalmente media tra Israele e Iran, che Tel-Aviv non è disposta ad accettare una presenza iraniana troppo marcata vicino al suo confine.

L’Iran i suoi obiettivi li ha ottenuti, Assad rimarrà al potere e è riuscita anche a salvaguardare la sua mezzaluna sciita da Teheran al Mediterraneo, passando per Hezbollah.

Si, non è ancora detta l’ultima parola, perché sulla situazione della Siria dopo la guerra si scontrano gli interessi di Iran e Russia. Perché appunto Teheran vorrebbe uno stato centrale forte con Assad al potere, almeno sino al 2021, la data delle prossime elezioni, per assicurarsi il controllo del territorio siriano e la libertà di movimento. La Russia vorrebbe avere un ruolo mediatrice, cercando di concedere qualche autonomia ai ribelli. Quando si parla dell’alleanza tra Iran e Russia si deve tener conto anche di questa divergenza di vedute, che in questa fase potrebbe risultare ancora più determinante. L’Iran ha una presenza militare forte in Siria, che le consente influenzare gli eventi sul terreno, ma Mosca, che vuole innanzitutto stabilizzare il Paese, questo non lo vede sempre di buon occhio.

In tutto questo c’è la Turchia, che potrebbe non fermarsi a Afrin…

 Questa è l’altra incognita. Per ora ha avuto mano libera dalla Russia e la situazione approvata con molti mal di pancia anche dall’Iran. Ankara però, per perseguire l’obiettivo di ricondurre sotto il proprio controllo tutte le aree occupate dai Curdi, finirà per scontrarsi con le truppe statunitensi, questo è un altro dei grandi nodi che rendono complicata la risoluzione della crisi siriana, che vede tuttora coinvolti diversi attori su diversi fronti.

Una guerra mondiale in miniatura, questo è oggi la crisi siriana. Parla Perteghella (Ispi)

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