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La televisione di Stato siriana, organo di propaganda del regime, ha dichiarato che la base T-4 – nei pressi di Homs – è stata colpita nella notte da un attacco aereo. I media siriani dicono di aver intercettato almeno otto missili, ma allo stesso tempo la Sana, l’agenzia di stampa statale, ha fatto sapere che ci sarebbe un numero imprecisato di morti (almeno 14) e che tra loro ci sarebbero anche degli iraniani – che evidentemente si trovavano nella base nell’ambito delle attività di supporto all’esercito regolare assadista.

Sana dice che l’attacco è stato “un’aggressione americana”. Gli Stati Uniti, per bocca del presidente, avevano annunciato che Damasco avrebbe pagato “un prezzo molto caro” per lo spietato attacco chimico che ha causato la morte di un centinaio di persone a Douma, e avevano promesso un’azione punitiva coordinata con alcuni paesi alleati, tra cui la Francia. Però il portavoce del Pentagono, davanti alle accuse siriane, ha subito dichiarato che “per il momento” gli americani non stanno conducendo operazioni militari sulla Siria.

Israele, un altro alleato statunitense che più volte ha colpito il regime di Damasco, non ha commentato le notizie, mentre il ministero della Difesa russo accusa direttamente Tel Aviv per l’attacco.

È stata una domenica di lavoro intenso quella appena trascorsa a Washington, in quell’area non molto grande della città che va da Arlington a Pennsylvania Ave, passando per Foggy Bottom. Incontri frenetici si sono succeduti al Pentagono, alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato e man mano che il tempo è trascorso dalle ore del tragico attacco con agenti chimici in Siria, ha preso forma uno scenario che secondo la stragrande maggioranza degli analisti comporterà una dura reazione da parte dell’amministrazione statunitense.

Ad un anno esatto dallo strike missilistico eseguito su ordine della Casa Bianca da due portaerei della US Navy nelle acque del Mediterraneo che sancirono la risposta di Donald Trump all’utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Bashar al-Assad, si assiste oggi ad uno scenario che ha tanti elementi in comune con l’episodio richiamato e che potrebbe comportare le stesse conseguenze durissime da parte dell’amministrazione americana, che rispose militarmente al superamento della famosa “linea rossa” da parte del governo siriano.

Un primo segnale in questo senso è arrivato dal messaggio di condanna espresso dallo stesso Trump, che attraverso Twitter ha fatto sapere: “Molti morti, compresi donne e bambini, in un attacco CHIMICO in Siria. L’area in cui sono avvenute le atrocità è bloccata e circondata dall’esercito siriano, rendendo il perimentro completamente inaccessibile al mondo esterno. Il presidente Putin, la Russia e l’Iran sono responsabili per il sostegno ad “Animal Assad”. Un prezzo enorme da pagare. Bisogna aprire immediatamente una via per l’assistenza medica e le opportune verifiche. Un altro disastro umanitario senza motivo. DA PAZZI! Se il presidente Obama non avesse consentito di violare la sua dichiarata linea rossa nel deserto, il disastro siriano sarebbe finito molto tempo fa! Animal Assad sarebbe storia passata”.

È stata più volte confermata dai media la notizia di una serie di riunioni al Pentagono e con il National Security Council, a poche ore – tra l’altro – dall’insediamento al vertice del National Security Council dell’Amb. John Bolton, che si troverà a gestire a breve una situazione per nulla facile. Nel corso degli incontri sarebbe stata consegnata al presidente una lista di obiettivi da colpire in vista di una possibile reazione militare. Come ribadito da fonti vicine all’amministrazione, man mano che il tempo passa “nessuna soluzione può essere accantonata”.

Trump, avendo lanciato chiari messaggi di indignazione non solo nei confronti di Assad ma anche di Vladimir Putin – si trova a gestire una sitazione complicata sia sul piano esterno che su quello interno. Prima di prendere una decisione definitiva deve, infatti, assicurarsi i giusti passaggi con gli alleati e con controparti come la Russia, impegnata in territorio siriano. D’altro canto, cresce anche la tensione all’interno del Paese e si fanno più forti con il passare del tempo le voci di coloro che si aspettano una reazione dura da parte della Casa Bianca. Tra tutte, ha un peso enorme lo statement rilasciato dal Sen. John McCain: “L’impegno del Presidente a ritirarsi dalla Siria ha solo incoraggiato Assad, sostenuto da Russia e Iran, a commettere più crimini di guerra a Douma. Il Presidente ha risposto dopo l’attacco chimico dello scorso anno. Dovrebbe farlo di nuovo e fare in modo che Assad paghi un prezzo per la sua brutalità”.

Il clima infuocato lascia dunque preludere soluzioni dure ed esemplari da parte americana e in tanti scommettono che non passerà troppo tempo prima di comprenderne la portata. La reazione della comunità internazionale e in particolare da parte russa resta un’incognita da chiarire: c’è chi si augura che l’episodio non faccia scoppiare a sua volta una pericolosa escaltion militare all’interno dell’area che potrebbe portare a conseguenze difficilmente prevedibili. Tutti questi dossier sono sul tavolo del presidente, del Pentagono e del Dipartimento di Stato, che tra l’altro è impegnato nelle stesse ore a gestire il fascicolo “Corea del Nord”. Proprio nella domenica da poco trascorsa, sono giunti a Foggy Bottom segnali di dialogo da parte di Pyongyang e la nuova struttura in cui a breve sarà operativo Mike Pompeo torna ad essere il crocevia di delicatissime questioni internazionali, sulle quali dovrebbe basarsi una nuova e più forte intesa con la Casa Bianca di Donald Trump.

Siria, dopo le atrocità di Assad (con Putin), la reazione di Usa, Francia e Israele

Di Carmine America e Emanuele Rossi

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