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Il primo ministro inglese ha scatenato un nuovo scontro con Bruxelles. L’ago della discordia è ancora una volta l’immigrazione. Theresa May ha infatti dichiarato che i cittadini europei che arriveranno nel corso del periodo di transizione post Brexit non dovranno godere degli stessi diritti di quelli che sono arrivati in precedenza. E ha promesso di combattere Bruxelles sui piani che potrebbero garantire a un altro milione di cittadini dell’Ue il diritto di stabilirsi in Gran Bretagna.

Alla fantomatica “libertà di circolazione” quelli di Bruxelles ci tengono non poco. Anche perché le norme per i nuovi migranti dell’Ue potrebbero includere permessi di lavoro obbligatori, requisiti per la registrazione all’arrivo e restrizioni sull’accesso alle prestazioni, che non si applicherebbero ai cittadini dell’Ue trasferiti nel Regno Unito appena prima della Brexit.

La cosa ha già creato, e creerà, non poco attrito. La May, nel viaggio di tre giorni in Cina, ha ribadito ai giornalisti che “è chiaro che c’è differenza tra coloro che sono venuti prima e chi arriverà”. Dichiarazioni che si pongono come, in qualche modo, in contrasto con quelle del suo cancelliere Philp Hammondil quale sosteneva che l’obiettivo era “cambiamenti molto modesti”.

“Quello che stiamo facendo ora non è nient’altro che fare il lavoro che il popolo britannico ha chiesto al governo di fare. Nel far ciò non hanno votato perché nulla cambiasse con l’uscita dall’Ue”, ha insistito Theresa May.

Ma a Bruxelles faranno di tutto per respingere fermamente ogni tentativo di abbattere le “quattro libertà” dell’Ue – la libertà di circolazione di beni, persone, servizi e capitali oltre i confini – e soprattutto la libera circolazione delle persone durante il periodo di transizione.

Guy Verhofstadt, coordinatore della Brexit del Parlamento europeo, ha dichiarato al Guardian: “I diritti dei cittadini durante la transizione non sono negoziabili. Non accetteremo che esistano due specie di diritti per i cittadini dell’Ue”.

Il punto di vista della May ha anche scatenato la rabbia tra gli attivisti e i parlamentari che hanno sollevato timori sulla discriminazione e l’incertezza alla luce delle osservazioni del premier.

Nicolas Hatton, il co-fondatore di 3million, associazione che rappresenta i cittadini europei che vivono in Gran Bretagna, ha sollevato i propri timori anche sull’accesso ai posti di lavoro, la capacità di garantire l’alloggio e di avere un conto bancario funzionante. “Penso che ci sarebbe un caos totale se dovesse verificarsi una distinzione tra chi arriva a marzo 2019 e chi arriva durante la transizione perché non c’è modo di fare una distinzione tra quei gruppi, e si arriverebbe a una diffusa discriminazione dei cittadini dell’Ue”.

La verità è che, come sottolineato sopra, il gruppo di esperti di Migration Watch ha avvertito che se la May non porrà alcune restrizioni, l’Ue potrebbe riversare una nuova ondata di migranti: circa un milione di nuovi cittadini che avranno il diritto automatico di vivere nel Regno Unito. E la cosa non può che spaventare il governo inglese.

Ed è anche in virtù di ciò che la May ha nuovamente dovuto insistere sul fatto che non intende prolungare il periodo di transizione di oltre i due anni. “Non stiamo negoziando segretamente per tre anni”.

D’altronde il periodo di transizione, e come gestirlo, resta il vero problema per i tory. La scorsa settimana, uno dei più fermi sostenitori della Brexit-dura, Jacob Ress-Mogg, l’uomo che l’Inghilterra giura sarà il prossimo primo ministro, ha accusato il governo di star creando i presupposti per trasformare il Regno Unito in uno “stato vassallo” durante il periodo di transizione. E anche dopo.

Intanto pare che i funzionari della Commissione europea abbiano respinto la proposta della City di concludere un accordo di libero scambio post-Brexit sui servizi finanziari: un duro colpo per le speranze della Gran Bretagna di mantenere il pieno accesso ai mercati dell’Ue.

La decisione aumenta la probabilità che la città negozi con l’Europa a condizioni meno favorevoli e potrebbe accelerare i piani di emergenza corporativi per spostare più operazioni da Londra verso il continente.

È così che la scorsa settimana il ministro delle finanze britannico Philip Hammond ha avvertito l’Europa che danneggiare la piazza finanziaria di Londra spingerebbe gli affari verso New York e Singapore, e quindi a scapito dell’intera Europa, e ha chiesto un accordo commerciale su misura con l’Ue.

Theresa May stringe sui migranti, la Commissione europea borbotta

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