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La vittoria di Sanae Takaichi alla guida del Partito Liberal Democratico (Ldp) e la sua conseguente nomina a prima ministra del Giappone rappresentano un momento storico che va ben oltre la questione di genere. È una vittoria che segna un cambio d’epoca ideologico, il trionfo di una visione conservatrice e sovranista che riporta Tokyo al centro del proprio destino politico, economico e strategico.

Nonostante disponesse di un sostegno limitato all’interno delle tradizionali fazioni del Ldp, Takaichi ha saputo imporsi contro candidati più radicati e favoriti come Shinjiro Koizumi, grazie a una popolarità autentica tra gli elettori e a una campagna che ha fatto leva sul senso di orgoglio nazionale. Il risultato, inatteso e dirompente, ha mostrato che in Giappone — un sistema spesso guidato da logiche di corridoio e compromessi interni — è ancora possibile una vittoria “dal basso”.

Ma più ancora della vittoria politica, a colpire è la portata culturale della sua affermazione.

Un conservatorismo senza compromessi

Takaichi non è una figura nuova nel panorama politico giapponese, ma la sua ascesa segna il consolidarsi di una linea ideologica chiara: conservatorismo nei valori, assertività in politica estera e protezionismo economico mirato. Allieva dichiarata di Shinzo Abe, ne eredita la visione e la grammatica politica: rafforzamento della difesa, revisione dell’Articolo 9 della Costituzione pacifista, espansione delle capacità militari e volontà di ridare centralità al concetto di “orgoglio nazionale”.

Sul piano sociale, le sue posizioni sono inequivocabili. Takaichi si è opposta al matrimonio egualitario, alla possibilità di mantenere cognomi separati dopo il matrimonio e alla successione imperiale femminile. È una convinta sostenitrice del movimento ultraconservatore Nippon Kaigi, che promuove una revisione della storia del Giappone e un’educazione patriottica improntata ai valori tradizionali. La nuova premier non ha mai nascosto la propria vicinanza simbolica al Santuario di Yasukuni, luogo controverso associato ai caduti della Seconda guerra mondiale, gesto che in passato aveva già irritato Pechino e Seul.

Non meno significativa è la sua ammirazione per Margaret Thatcher, la “Iron Lady” britannica. Come la leader inglese, Takaichi punta su una leadership autoritaria, pragmatica e ideologicamente coerente: un governo forte, uno Stato interventista nell’economia e una visione fortemente individualista della responsabilità civica.

Autonomia strategica e tensioni regionali

Sul piano internazionale, la nuova premier si presenta come una “China hawk”, favorevole a una linea dura nei confronti di Pechino e più prudente nei confronti di Washington. Takaichi invoca un Giappone strategicamente autonomo, capace di difendere i propri interessi senza subordinazioni né alla Cina né agli Stati Uniti.

Questa impostazione, tuttavia, potrebbe complicare gli equilibri regionali: la sua ferma posizione sul Mar Cinese Orientale, sullo Stretto di Taiwan e sul tema dei diritti umani in Cina promette una stagione di diplomazia più conflittuale. Le sue parole di elogio per Abe — e la volontà di proseguire la sua agenda — sono lette a Pechino come un segnale di continuità con il nazionalismo assertivo del passato. Questo orientamento può rafforzare il coordinamento con Stati Uniti, Australia e India nel quadro del Quad (Quadrilateral Security Dialogue), ma rischia anche di irrigidire i rapporti con Pechino e Mosca, accentuando la polarizzazione regionale.

Un mandato fragile ma carico di simboli

Takaichi eredita un partito frammentato e un Parlamento senza maggioranza solida. Dovrà costruire alleanze, probabilmente con i centristi del Komeito, partito tradizionalmente vicino ai buddhisti di Soka Gakkai, e bilanciare la fermezza dei propri principi con la necessità di governare in un contesto complesso.

Le sue politiche economiche — in particolare la proposta di “investimenti per la gestione delle crisi” nei settori strategici come la difesa, i semiconduttori, l’energia e l’intelligenza artificiale — mostrano una volontà di proiettare il Giappone verso un futuro tecnologico, ma entro una cornice statalista e patriottica.

Il suo approccio non lascia spazio a compromessi facili. Takaichi si muove con la convinzione di chi considera la modernità compatibile solo con la restaurazione dell’identità nazionale. È una visione che rassicura una parte del Paese, ma ne preoccupa un’altra — quella che teme un ritorno a un passato autoritario, di chiusura e revisionismo.

Il Giappone che cambia

Sanae Takaichi è la prima donna a guidare il Giappone, ma non è la candidata del femminismo: è la leader di un conservatorismo di ferro, radicato nella storia, che fa leva su sicurezza, disciplina e sovranità. La sua ascesa segna un punto di svolta nella politica giapponese: un Paese che guarda a se stesso più che ai suoi alleati, che riscopre il nazionalismo come forza identitaria e che si prepara a navigare un mondo multipolare con un orgoglio rinnovato — ma anche con una certa dose di rischio.

Il Giappone di Sanae Takaichi sarà più deciso, più conservatore e più autonomo. La domanda, oggi, è se il Paese — e la regione — siano pronti a questa nuova stagione.

Il ritorno di Abe-san: Sanae Takaichi, la nuova “Iron Lady” del Giappone

La vittoria di Sanae Takaichi segna il ritorno del Giappone a una linea nazional-conservatrice ispirata all’eredità di Shinzo Abe. Una leadership forte e identitaria che promette autonomia strategica, ma anche nuove tensioni regionali

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