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L’ammiraglio Samuel Paparo, comandante dell’Indo-Pacific Command degli Stati Uniti, ha proposto il dispiegamento di droni e altri sistemi unmanned per “chiudere” lo Stretto di Taiwan in caso di guerra su larga scala. Questa tattica, che punta sull’asimmetria, risponde direttamente alle provocazioni militari cinesi, dimostrando la prontezza degli Stati Uniti a contrastare la strategia regionale di Pechino. E soprattutto, la volontà di pensare idee in questo senso.

“Rimango fiducioso che in un conflitto con la Repubblica Popolare Cinese per Taiwan avremmo la meglio […] E, in realtà, anche la Cina dubita della sua capacità di prevalere in tale conflitto”, dice il comandante americano intervenendo al Reagan National Defense Forum. “Tuttavia, ciò non elimina il fatto che, se decidessero di intraprendere una guerra di necessità, lo farebbero pur assumendosi rischi enormi […]”. E infine: “La nostra preoccupazione è che il margine, espresso in termini di probabilità di successo, vite perse, capacità distrutte, costi economici e tempo sprecato, stia erodendosi”.

Queste dichiarazioni arrivano in un momento di tensione crescente nello Stretto di Taiwan, mentre la Cina intensifica le attività militari vicino all’isola. Nel fine settimana, Pechino ha dispiegato più di una dozzina di navi da guerra, velivoli militari e palloni aerostatici, secondo quanto riportato dal ministero della Difesa di Taiwan. Altre attività sono seguite negli ultimi giorni con un dislocamento nell’area di un centinaio di mezzi marittimi tra forze armate e guardia costiera, mentre oggi gli aerei da combattimento dell’aeronautica cinese hanno simulato attacchi su navi da guerra straniere e praticato azioni per respingere aerei militari come parte delle esercitazioni per produrre il blocco di Taiwan — ossia di quelle misure che Paparo suggerisce di contrastare.

Questo sfoggio di forza sembra essere una risposta alle recenti visite diplomatiche del presidente taiwanese Lai Ching-te ai suoi partner nel Pacifico, inclusi scali negli Stati Uniti. È una prassi comune, quando i presidenti taiwanesi cercano contatti con l’esterno Pechino reagisce mostrando i minuscoli.

Le operazioni cinesi si estendono su un’area vasta, comprendendo le acque vicine a Taiwan, le isole meridionali del Giappone e i mari della Cina Orientale e Meridionale. Ilinistero della Difesa di Taipei ha riferito che Pechino ha istituito sette zone temporanee di interdizione aerea lungo le province orientali di Fujian e Zhejiang, limitando la navigazione aerea dal 9 all’11 dicembre.

Questo dispiegamento rappresenta un’escalation significativa rispetto alle esercitazioni precedenti, come “Joint Sword 2024-A” e “Joint Sword 2024-B”. Una fonte anonima della sicurezza regionale spiega che tali manovre mirano a colpire “l’intera catena di isole”, comprendendo Giappone, Taiwan, Filippine e Borneo. “L’intenzione sembra essere la solita: dimostrare di poter esercitare un controllo militare sul centro della catena insulare, il che può comprensibilmente suscitare preoccupazione tra coloro che si sentono coinvolti”, ha spiegato la fonte.

Taiwan ha alzato il livello di allerta militare al massimo e avviato esercitazioni di prontezza al combattimento in punti strategici chiave. La marina e la Guardia Costiera taiwanesi hanno monitorato da vicino le attività cinesi, sottolineando che le azioni di Pechino rischiano di destabilizzare l’Indo-Pacifico.

Il ministero della Difesa dell’isola ha condannato le esercitazioni, dichiarando che “qualsiasi azione unilaterale, irrazionale e provocatoria potrebbe danneggiare seriamente la pace e la stabilità nell’Indo-Pacifico e non sarà ben accolta dalla comunità internazionale”. La Guardia Costiera taiwanese ha inoltre segnalato episodi di “molestie nella zona grigia”, con navi cinesi impegnate nelle solite azioni volte a mettere pressione su Taiwan senza arrivare a un vero conflitto. Sono posizioni che servono a ricordare che la Repubblica di Cina non accetta le forzature, che servono anche spostare lo status quo degli equilibri.

Le recenti visite di Lai alle Isole Marshall, Tuvalu, Palau e i suoi scali alle Hawaii e a Guam evidenziano la spinta strategica del presidente per migliorare la rappresentanza globale di Taiwan. Questi sforzi diplomatici sono strettamente legati alla sua agenda elettorale, volta a consolidare ed espandere i partenariati internazionali di Taiwan.

Con il rafforzamento dei rapporti esterni e la costruzione di nuove relazioni, Lai mira a contrastare i tentativi persistenti di Pechino di isolare Taiwan sul piano diplomatico. Le esercitazioni militari cinesi rappresentano una manifestazione fisica di questa pressione, ma la diplomazia attiva di Lai posiziona Taiwan come attore critico nella stabilità regionale e nella geoeconomia globale.

Pechino invece intende affermare il suo dominio sulle principali vie d’acqua della regione, consapevole che esercitare un’influenza egemonia lungo lo Stretto di Taiwan significherebbe una perdita della libertà di navigazione lunga una rotta cruciale. Mossa che avrebbe conseguenze significative, in particolare per Giappone, Filippine e gli alleati degli Stati Uniti nell’Indo-Pacifico, nonché per il commercio in entrata e uscita dall’Asia.

La proposta di Paparo di sfruttare droni e sistemi senza equipaggio sottolinea l’urgenza di sviluppare risposte innovative alle crescenti capacità militari cinesi. Tali tattiche possono rappresentare un mezzo scalabile ed efficace per garantire la sicurezza delle vie d’acqua della regione. La nuova tensione nello Stretto di Taiwan continua a mettere in luce il precario equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico. Le risposte tattico-strategiche pensate da Washington evidenziano la necessità di sempre più stringente di contromosse riguardo a un’escalation di attività cinesi che hanno portato Pechino a simulare, in questi giorni, quello che sembra un blocco totale di tutto il primo arco di isole (ossia la fascia geopolitica marittima che la circonda, dal Giappone alle Filippine).

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