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Com’è usuale quando un’elezione in un Paese importante si avvicina, ci si domanda cosa il cambio o la conferma del governo in carica potrebbe portare in termini di novità. Il gioco delle previsioni è tanto più stimolante quanto più incerto l’esito elettorale. Date queste premesse, si capisce perché ci sia dopotutto scarsa attenzione alle elezioni in Russia, che con ogni probabilità conferiranno a Vladimir Putin il suo quarto mandato presidenziale, allungando ulteriormente il suo record di più longevo leader della Russia moderna.

Proprio questa longevità, tuttavia, fornisce l’unico appiglio a chi voglia a tutti i costi vedere nel quarto mandato presidenziale (più uno da primo ministro nel 2008-12) uno stimolo a una possibile svolta in politica estera, e in particolare alle relazioni con Europa e Stati Uniti. Anche se negli ultimi anni l’anti-occidentalismo è servito a rafforzare la legittimità del potere di Putin, non è stata una scelta indolore.

Le sanzioni economiche e un mercato dell’energia in cui gli Usa sono diventati sempre più competitivi hanno ridotto le risorse a disposizione dei russi. Dopo aver dato stabilità politica e prosperità economica durante i primi due mandati (2000-8), e aver riportato la Russia al ruolo di grande potenza nel terzo (2012-18), per Putin il riavvicinamento all’Occidente su termini più o meno di parità potrebbe essere il grande obiettivo del quarto mandato.

Fantapolitica? In un certo senso, sì: le condizioni per un riavvicinamento semplicemente non ci sono. Ma Stati Uniti ed Europa potrebbero intercettare l’ambizione di Putin al riconoscimento della Russia come potenza con interessi legittimi per cercare un riequilibrio delle relazioni, cioè dare loro un carattere meno volatile e prono al conflitto. Proviamo a immaginare uno scenario ottimale, premettendo che nelle attuali circostanze ‘ottimale’ è tutto fuorché sinonimo di ‘ottimo’; piuttosto, di ‘meno peggio’.

Questo scenario ha due componenti: una di rivalità gestita, una di cooperazione selettiva.

POLITICA DELLA FERMEZZA

Il teatro della rivalità gestita è l’Europa nel suo complesso, che include lo spazio ex-sovietico (in particolare l’Ucraina), il rapporto Nato-Russia e le attività di disinformazione russa nei Paesi europei – ma anche negli Usa -. Qui, l’unica alternativa all’appeasement – cioè al concedere ai russi quello che vogliono in cambio di una distensione – è una politica di fermezza.

Fermezza vuol dire sostegno ai Paesi ex-sovietici come Ucraina, Georgia e Moldavia, che aspirano a rapporti più stretti con Ue e Usa, ma non la loro integrazione nell’Ue o nella Nato; rafforzamento delle capacità di difesa e deterrenza della Nato, soprattutto nel quadrante nordest, cioè Baltico e Scandinavia; e difesa e rappresaglia contro le cosiddette ‘misure attive’ (disinformazione) con cui i russi creano divisioni interne a Ue e Nato, e fomentano la sfiducia dell’opinione pubblica nelle istituzioni liberal-democratiche.

Non si può persuadere la Russia ad abbandonare l’ambizione a esercitare un’egemonia sullo spazio ex-sovietico o abbracciare gli standard di governance occidentali, ma la si può forzare a rivedere i suoi piani aumentando i costi delle sua azione.

INTESE POSSIBILI
La cooperazione selettiva si applica invece là dove russi e occidentali hanno interessi compatibili. Un campo fondamentale è quello del controllo degli armamenti, antico e sperimentato ‘luogo’ di cooperazione pragmatica tra occidentali (americani in particolare) e sovietici, che al momento sta venendo meno.

Sul piano geografico, un’intesa che in qualche modo ratifichi l’equilibrio di forza che si sta delineando in Medio Oriente – col blocco pro-Iran allineato alla Russia e quello anti-Iran sostenuto dagli Usa – implica che Stati Uniti ed Europa riconoscano che la loro capacità di influenza in Siria è ridotta a frustrare i piani russo-iraniani di riorganizzazione del Paese. Ciò è possibile ma in definitiva non farebbe che prolungare oltre le sofferenze della popolazione civile e la conflittualità nell’area.

L’accordo nucleare con l’Iran – di cui Usa, Europa e Russia sono parte – offre uno strumento tanto per far vigilare sull’Iran quanto anche per coinvolgerlo in un dialogo sulla sicurezza regionale (Siria inclusa). Il potenziale inespresso di un’intesa russo-occidentale sulla stabilità mediorientale è considerevole, per quanto difficile da sfruttare.

BRUSCO RISVEGLIO
Le possibilità che uno scenario del genere si materializzi sono minime.

L’elezione di Donald Trump a presidente Usa ha introdotto maggiore confusione, se possibile, nelle relazioni russo-occidentali. Lo scandalo sulle interferenze russe nelle presidenziali 2016 non ha persuaso il presidente ad abbandonare la sua riluttanza a condannare Putin, ma ha generato un clima di ostilità profonda nei confronti della Russia.

Il risultato è che la politica americana verso la Russia è priva di una direzione strategica, ma allo stesso tempo si è arricchita di strumenti di pressione come il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (Caatsa), una legge che dà ampi poteri al presidente Usa di sanzioni nei confronti di compagnie straniere che facciano affari in settori chiave dell’economia russa, compreso quello energetico. Se non viene manovrato con cura, il Caatsa porterà a un ulteriore irrigidimento della Russia e a una penalizzazione degli interessi europei.

Nel frattempo, ogni possibilità di intavolare un dibattito sulla stabilità del Medio Oriente con i russi sembra compromessa dallo schiacciamento degli Usa sulle posizioni oltranziste anti-Iran di Israele e Arabia Saudita. E il grande piano di rilancio degli armamenti nucleari Usa indebolisce le prospettive di dialogo sul controllo degli armamenti.

In tutto questo, la posizione e gli interessi degli alleati europei sono largamente trascurati; meno per scelta deliberata e più per mancanza di una strategia coerente che imposti il rapporto con la Russia sul doppio binario indicato sopra. A Washington mancano le tre condizioni perché una strategia del genere possa essere perseguita: una leadership credibile, consenso bipartisan, e fiducia nel legame transatlantico. Il quarto mandato di Putin scadrà nel 2024. Prepariamoci ad altri sei anni di burrasca.

(Articolo pubblicato su AffarInternazionali)

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