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Il giornalista russo Arkady Babchenko, corrispondente di guerra e critico del Cremlino, è stato ucciso a Kiev. Colpito da tre colpi di pistola appena fuori da casa sua: la moglie ha chiamato i soccorsi dopo averlo trovato ferito davanti alla porta dell’abitazione. Era uscito a comprare il pane, è stato colpito tre volte alla schiena, è morto durante il trasporto in ospedale.

La polizia ucraina ha fatto sapere che le indagini sull’omicidio si stanno concentrando su due aspetti, “il lavoro professionale e la posizione sociale” di Babchenko. Critico verso il presidente Vladimir Putin, aveva contestato molto l’annessione della Crimea e l’appoggio informale russo ai separatisti: il giornalista aveva lasciato la Russia nel 2017 perché, parole sue, era “un paese in cui non mi sento più al sicuro”.

Aveva ricevuto minacce di morte, dopo aver scritto un post su Facebook in occasione dello schianto dell’aereo che stava trasportando in Siria il famoso coro militare russo Alexander Ensemble: Babchenko fu accusato di essere anti-patriottico, perché ricordava che alla morte dei russi corrispondevano quelle dei siriani, quel coro andava a festeggiare le vittorie russe ottenute anche con bombardamenti indiscriminati.

Poco dopo scrisse un op-ed sul Guardian in cui spiegò di essere stato vittima di una campagna denigratoria in cui tutta la propaganda russa s’era impegnata contro di lui (per dire, Channel 1, la principale Tv statale russa, invitò i suoi ascoltatori a firmare una petizione per togliergli la cittadinanza e deportarlo: in un giorno 130mila persone aderirono, martellati dal fuoco incrociato dei troll pro-Cremlino). Babchenko spiegò che “la recente campagna contro di me è stata così personale, così spaventosa, che sono stato costretto a fuggire”. Aveva anche paura che potesse finire dietro le sbarre di una prigione, incolpato ufficialmente di qualche crimine, ufficiosamente vittima dei rastrellamento contro i dissidenti ordinati da Mosca.

Prima era andato in Repubblica Ceca, poi in Israele, e infine preso un’abitazione in nella capitale ucraina, “una città che è diventata un rifugio per alcuni dei critici più veementi di Mosca, così come la scena di omicidi mirati che sono rimasti irrisolti per anni”, scrive il Guardian. Lavorava per la rete televisiva della Crimea ATR.

Babchenko è stato anche un veterano: giovane studente di legge, fu arruolato dall’esercito russo per combattere entrambe le guerre in Cecenia, da lì aveva trasformato la sua esperienza in un famoso libro, viscerale e crudo, critico nei confronti di Mosca, “One Soldier’s War“.

Il suo non è il primo assassinio di questo genere in Ucraina, tanto che il responsabile dei media dell’Osce, l’organizzazione europea per la sicurezza, Harlem Désir ha scritto su Twitter di essere inorridito dalla situazione.

Lo scorso ottobre, una combattente di etnia cecena di nome Amina Okuyeva è stata uccisa fuori da Kiev da un’autobomba. Nel marzo 2017, il deputato russo rinnegato Denis Voronenkov è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco all’ingresso di un hotel a Kiev (i procuratori ucraini hanno detto che Voronenkov, che aveva aderito alla linea del Cremlino mentre prestava servizio come parlamentare russo, era poi diventato critico con Mosca dopo il suo trasferimento in Ucraina nel 2016: è stato ucciso su ordine di un signore della criminalità russa, a quanto pare).

Il 20 luglio del 2016, il giornalista investigativo Pavel Sheremet è saltato in aria in un’autobomba fuori del suo appartamento; due mesi dopo, Alexander Shchetinin, fondatore di Novy Region e noto giornalista che ha spesso preso posizioni critiche su Putin (“un nemico personale” lo aveva definito), è stato trovato morto all’interno del suo appartamento.

Il caso di Babchenko conferma che continuano le morti sospette di chi si oppone alla linea di Mosca: oltre a quelle in Ucraina, cose simili succedono anche in Russia. Per esempio la vicenda di Maksim Borodin, altro giornalista scomodo per il Cremlino, volato inspiegabilmente dal quinto piano dove abitava il 12 aprile di quest’anno.

Nel suo ultimo post su Facebook poche ore prima dell’attacco, Babchenko ha ricordato una fortunata circostanza di quattro anni fa esatti: ha scritto che aveva programmato di volare con i soldati ucraini su un elicottero nella zona di guerra nell’est dell’Ucraina, ma poi alla fine non gli era permesso di salire a bordo, perché non c’era abbastanza spazio. L’elicottero è stato abbattuto dai ribelli filo-russi, lasciando 14 morti.

 

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