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Quali sono le ragioni più profonde, se mai esistono, di questo logorante gioco dell’oca con cui Luigi Di Maio tiene sotto scacco la politica italiana. Quel continuo stop and go. O meglio go and stop. Prima il possibilismo, quindi il rifiuto: quasi che nello spazio di qualche ora si fosse inserita una presenza estranea. Contrordine compagni.

È solo idiosincrasia rispetto a Silvio Berlusconi? È l’idea di dimostrare plasticamente il conflitto tra il “vecchio” e il “nuovo”? Il lucrare qualche voto in più alle prossime elezioni regionali, al cospetto di un Europa che, ricordando Mussolini, è portata a ritenere che tentare di governare gli italiani è del tutto inutile? C’è probabilmente tutto questo. Ma anche qualcosa in più. Al fondo il non riconoscere il valore delle regole costituzionali di questo Paese.

Quando Di Maio dichiara che non considererà “ostile” l’eventuale appoggio esterno di Forza Italia e di Fratelli d’Italia, ad un futuro possibile governo Lega-Cinque Stelle non solo dice una cosa senza senso. Ma nega uno dei cardini su cui, da Alcide De Gasperi in poi, si è sviluppata la storia italiana. Periodo durante il quale la ricerca del maggiore consenso possibile, nella situazione data, è stata sempre la stella polare che ha guidato la civile convivenza.

Sul piano tattico, ma con una valenza di carattere strategico, Di Maio (o chi per lui) sta giocando una partita a scacchi. Qualora rompesse l’unità del centrodestra, sposterebbe a suo favore i rapporti di forza all’interno del futuro governo. Ed allora sarebbe difficile negare una sua primazia e quindi l’ipoteca grillina sulla stessa presidenza del Consiglio. Una volta cedute le armi, alla Lega non resterebbe altro che la resa.

Si spiega così l’insistente riposta nel negare qualsiasi ruolo politico alle coalizioni, prodotto di una legge elettorale che il Movimento non solo non ha mai condiviso, ma avversato. Ritenendole un semplice “artificio” per bloccare, come avrebbe detto Bertolt Brecht, la sua “resistibile ascesa”. E poco importa se questa visione sia poco rispettosa di regole dotate del crisma della legalità. Obbiettivo evidente dei grillini è cambiarle, non appena se ne presenterà l’occasione. Prevedere, cioè, una nuova legge elettorale di tipo maggioritario, con premio riservato ai soli partiti. Puntando sul fatto ch’essa potrebbe convenire anche alla Lega, per affrancarsi dall’abbraccio con Forza Italia.

Ed ecco allora la doppia partita. Un occhio alla formazione del governo. L’altro al cambiamento, come continuano a ripetere. Con l’obiettivo di giungere alla definizione di un sistema politico, costruito su misura sui postulati della cosiddetta “democrazia diretta”. Versione italiana di quelle pulsioni autoritarie che si intravedono in tante altre realtà internazionali. Da Putin ad Erdogan allo stesso Donald Trump. E su cui Emmanuel Macron, nel suo discorso al Parlamento europeo, ha voluto richiamare l’attenzione generale.

Spetta soprattutto alla Lega il compito di favorire o di far naufragare un simile disegno. Avendo piena contezza di quale sia la vera posta in gioco.

La partita a scacchi di Di Maio e la mossa di Salvini

Quali sono le ragioni più profonde, se mai esistono, di questo logorante gioco dell’oca con cui Luigi Di Maio tiene sotto scacco la politica italiana. Quel continuo stop and go. O meglio go and stop. Prima il possibilismo, quindi il rifiuto: quasi che nello spazio di qualche ora si fosse inserita una presenza estranea. Contrordine compagni. È solo idiosincrasia rispetto…

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