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Ancora Milo. In Montenegro elezioni presidenziali vinte al primo turno da Milo Djukanovic, leader del Partito democratico dei socialisti (Dps) al governo e per sei volte a capo dell’esecutivo. Un risultato che avvicina il Paese balcanico all’ingresso nella Nato e nell’Ue, anche se permangono le ombre relative alla corruzione e al malfunzionamento della giustizia in un Paese dove si è fatto plastico lo scontro di influenze di occidente e oriente, e dove gli investimenti italiani non mancano.

DATI

Non è ufficiale, ma i primi risultati sono stati diffusi dall’Ong indipendente Cemi. L’ex presidente è al 53,5% quindi distaccando di parecchio l’avversario Mladen Bojanic leader delle opposizioni che sono sostenute si dice anche dalla Russia, fermo al 35%. La coalizione europeista guidata dal Partito democratico dei socialisti (Dps) “è invincibile”.

Così ha commentato la vittoria Djukanovic secondo cui questo risultato “rappresenta la prova dell’invincibilità della coalizione di maggioranza”. Il suo princiale competitor, Bojanic, ha raccolto meno di quanto i sondaggi avevano immaginato, e l’affluenza ha toccato il 64%.

CHI È MILO

Su Djukanovic l’ombra passata di contrabbando, con il processo per la sua immunità parlamentare, i rilievi delle commissioni ad hoc di Usa e Ue sui mancati progressi del paese alla voce giustizia e corruzione, ma anche la facilità di investimenti da parte dell’Italia e dei Paesi Ue, la capacità di intercettare nuovi business come quelli legati alle energie alternative e al doppio obiettivo che ora si fa più vicino: adesione alla Nato e ingresso nell’Ue.

Nell’autunno del 2016 le elezioni politiche avevano rappresentato uno snodo chiave per il futuro del Paese. Il Dps, guidato dal premier Milo Djukanovic, aveva ottenuto 35 seggi parlamentari, sei in meno rispetto alla maggioranza semplice. Per questo motivo, il Dps aveva annunciato l’intenzione di riproporre la coalizione con i partiti che rappresentano le minoranze nazionali, i quali tuttavia erano stati invitati a cooperare anche con l’opposizione, per lasciare fuori dal governo il leader della maggioranza uscente.

Ma erano stati gli arresti della notte precedete allo spoglio a far scattare l’allarme tra gli osservatori: 20 cittadini serbi erano finiti in manette con l’accusa di voler influenzare gli esiti della competizione con le ombra di un tentato colpo di stato e di un possibile rapimento orchestrato alle spalle del Presidente. Scenari di cui, in seguito, si è smarrita ogni traccia.

LE INCHIESTE

Un debito pubblico che galoppa senza controllo, vari scandali di corruzione che toccano l’inner circle dell’allora premier uscente e i report della Commissione Europea e di istituzioni internazionali che certificano i regressi democratici del paese e della sua classe dirigente. È lo scenario che caratterizza il Montenegro, a cui va sommato il passato di Djukanovic, condannato per contrabbando internazionale di sigarette dalle procure di Bari e Napoli (ma salvo grazie all’immunità).

È la ragione per cui l’organizzazione internazionale non governativa Organized Crime and Corruption Reporting Project aveva decretato nel 2016 “uomo dell’anno per il crimine organizzato” l’allora primo ministro montenegrino Milo Djukanovic. E aveva individuato un’isola (finanziata dalla sua banca di famiglia) che risultava essere di proprietà di Stanko Subotic, più volte incriminato per contrabbando di sigarette ed ex sodale di Djukanovic. Ad amministrare l’atollo il capo della sicurezza di Djukanovic. Accanto a Subotic ecco altri nomi noti della malavita locale, come Naser Kelmendi, Safet Kalic e Brano Micunovic tutti protetti dall’ombrello del premier e funzionali, secondo gli investigatori, ad un progetto di vera e propria occupazione.

In questo modo la famiglia di Djukanovic avrebbe avuto la possibilità di inglobare sotto il proprio controllo la banca statale quando questa è stata privatizzata: lì l’esecutivo avrebbe fatto grossi investimenti in denaro pubblico. Ma nel momento in cui ricchi prestiti elargiti a pochi eletti non erano stati rimborsati, ecco la mano di Djukanovic a mettere in salvo la banca di famiglia, grazie ad una legge ad hoc votata dal suo Parlamento.

Identico format adottato per la vendita di interi pezzi di costa montenegrina, per un prestito da un miliardo di dollari ottenuto per la costruzione di 41 chilometri di autostrada e violando le linee guida europee sul debito, o per l’utilizzo di fondi pubblici per fornire 300 milioni in garanzie statali per i prestiti contratti da imprese private, senza richiedere interesse. Questo il quadro fornito dagli investigatori che ancora hanno acceso un fascio di interesse sul Paese e sulla famiglia di Djukanovic.

UE E BALCANI

Un binomio strategico, quello relativo all’allargamento dell’Ue, sottolineato anche lady Pesc in occasione del Consiglio affari esteri dell’Ue (Cae) a Lussemburgo. Secondo Federica Mogherini l’occasione è ghiotta per discutere sui Balcani occidentali, in vista dei preparativi del vertice di Sofia, con evidente riferimento anche al Montenegro. “Domani il Collegio (dei commissari dell’Ue) dovrà prendere una decisione importante sul pacchetto allargamento – ha commentato – è una regione strategica per l’Europa. È Europa anche se non è ancora interamente parte dell’Unione europea. Sarò in visita nella regione da domani sera”, proseguendo in quel filone che vede Ue e Nato andare a braccetto riguardo all’interlocuzione con una macroregione strategica.

E la vittoria di Djukanovic fa segnare un altro punto nella tappa di avvicinamento del Montenegro all’ingresso nella Nato e nell’Unione europea.

twitter@FDepalo

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